An American in Trent: il fenomeno Feininger in un libro di Giuseppe Calliari. Storia del prete musicologo che adorava il Concilio tridentino e la bellezza dei canti antichi
Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)
Laurence/Lorenzo, nipote di un tedesco emigrato in America e figlio di un americano tornato in Germania, ha un corpo statuario, di quelli che piacevano ai fanatici fautori della superiorità della “razza ariana” nei maledetti anni Trenta della dittatura seguita alla Repubblica di Weimar, la città di Bach e Goethe dove il giovane Laurence (nato nel 1909) si trovò a crescere. Sulla copertina della bella biografia che Giuseppe Calliari, raffinato musicologo musicista e poeta trentino, ha dedicato a Laurence Feininger, il fenomenale F è fotografato da uno dei suoi due fratelli mentre sta correndo sulla spiaggia baltica di Deep (Mrzezyno): ha vent’anni, il gesto atletico è degno di un olimpionico della corsa, altro che la passeggiata sul bagnasciuga di “Momenti di gloria”.
Il criminale caporale austriaco non ha ancora preso il potere (mancano quattro anni, al fatidico 1933) e il fenomenale F sembra già in fuga: dalla follia del nazionalsocialismo, dall’ossessione della razza, dalle sue origini (alta borghesia artistica, ebrea per parte di madre), dalla Germania e dall’America: tra il 1938 e il 1976 vivrà a Trento, diventerà sacerdote, scoprirà e studierà e trascriverà i codici musicali del ’400 al Buonconsiglio, formerà cori e – nello straordinario cenacolo di vicolo Colico, poco lontano dalla cattedrale – forgerà giovani (primo fra tutti, il “figlio adottivo” Danilo Curti, che poi diventa uomo di musica antica e di giornali moderni). Straordinaria parabola, degna di un film, che ci viene restituita da Calliari con rigore storico e passione esistenziale.
Il libro, pubblicato dal Museo storico di Trento, è stato presentato ieri sera al Castello – tra gli altri – dalla filosofa Paola Giacomoni (“un personaggio controcorrente e anticonvenzionale, alla ricerca di una propria geometria interiore”) e dalla direttrice Laura Dalprà, che ha confessato: “Anche io, come Feininger, mi sono riavvicinata alla Chiesa grazie alla bellezza delle sue tradizioni, del suo patrimonio umanistico. Nel mio caso, i testi di Bernardo da Clairvaux, nel caso suo, i nostri preziosi, e unici al mondo, codici del Quattrocento” (ancora oggi conservati in una stanza non visitabile e climatizzata). Del fenomenale F (ma la formula è di chi scrive, Danilo è innocente), ha detto così Danilo Curti-Feininger: “Da don Lorenzo abbiamo ereditato la passione per la corsa ad ostacoli e per il cantare in coro e fuori dal coro e cantare comunque, e per il gettare il cuore oltre l’ostacolo”.
Già, il cuore. Calliari ha tratteggiato un personaggio fuori dal comune, dalla duplice anima: un versante razionalista, metodico, ironico, scientifico e un coté mistico-benedettino-gregoriano-estetico che a un certo punto lo porta a dire alla mamma che ha scoperto l’amore. Non in forma di donna, però, ma della liturgia cattolica e della bellezza di un canto capace di sublimare l’eros in qualcosa di ancora più elevato, di alto, di celestiale (e d’altronde, basterebbe ascoltare qualsiasi cosa scritta da Bach per avere il sospetto che ci sia “un amore che non muore mai, più lontano degli dèi”, come cantano i Baustelle tre secoli dopo Bach). Il libro su Feininger è stato presentato nell’ambito del festival internazionale Trento Musicantica, giunto alla trentaseiesima edizione grazie alla inesausta antica passione della trinità dei curatori artistici: Danilo Curti-Feininger, Roberto Gianotti, Marco Gozzi. Che poi sono coloro che, nel segno del fenomenale F, mantengono in vita viva e pulsante il Centro di eccellenza Laurence K.J. Feininger: grazie a loro e al Trio Feininger che canta (Gianotti, Gozzi, Di Salvo), il nome dell’ American in Trent ha scollinato il ventesimo secolo e il secondo millennio ed è ancora qui con noi. Anche se non è conosciuto come meriterebbe un fenomeno della seconda metà del Novecento, che si è guadagnato il Pantheon (se ci fosse) della cultura trentina e un posto non secondario in quella europea.
Il libro, arricchito da un bell’album fotografico (archivio Curti, ça va sans dire), è di grande qualità dalla prima all’ultima delle sue 272 pagine. Il sottotitolo è un manifesto feiningeriano: “Un cammino di vita alla ricerca del sublime tra arte, musica e fede”. Ma è molto di più: è il ritratto di un secolo “breve” e drammatico, attraverso gli occhi di una eccezionale famiglia tedesca-americana, o americana-tedesca, e del geniale Laurence figlio del geniale Lyonel (fondatore del Bauhaus, pittore, grafico, intellettuale a tutto tondo) che spiazza tutti, a cominciare dalla sua famiglia, e a Berlino e a New York preferisce la provinciale, piccola, pittoresca, polverosa, pretesca Trento degli anni Trenta-Quaranta. Non è passato inosservato, nella piccola città tra le montagne, il fenomenale F, anche per la sua polemica contro le innovazioni liturgiche del Concilio Vaticano II, che avevano a suo dire (e non aveva tutti i torti, sotto il profilo estetico) rovinato la bellezza della messa tridentina, tanto che nell’aprile 1970, in una lettera all’Adige, tuona: “Oggi né mi convertirei né diventerei sacerdote. Ma quello che sono diventato, cattolico sotto i nazisti nel ’34, sacerdote nella baraonda del ’47, intendo rimanerlo”… continuando a celebrare la messa in latino, nella forma preconciliare, con tutte le genuflessioni… Al vescovo Gottardi osava scrivere nel novembre di quello stesso 1970: “In riparazione pubblica degli oltraggi di irriverenza e di disprezzo di ogni espressione di pietà e di dovuta riverenza verso il Sommo Sacramento, quali si manifestano in questa nuova liturgia… caricatura di quella che ho abbracciato… a Lei propongo dunque di contrapporre all’Isolotto di Firenze la terraferma di Trento”. (L’Isolotto di Firenze era luogo ed emblema dei cattolici progressisti del dissenso).
Un fenomenale F reazionario, dunque? Be’, conservatore sicuramente sì. Conservatore della bellezza dei riti e dei canti, prima ancora della dottrina. Personaggio dunque che oggi può risultare scomodo. Ma gli eccessi glieli si perdonano perché l’irruenza, bene espressa da quella corsa scatenata sulla spiaggia nordica, era figlia di una generosità e di un’attenzione umana – oltre che di una finezza culturale – che non si possono non definire eccezionali. Lo stesso motto che si era scelto e che scrive in fondo alla seconda pagina del terzo volume del “Repertorium cantus plani” è un autoritratto del fenomenale F: “Zelus domus tuae comedit me/ lo zelo per la tua casa mi ha consumato”, espressione del salmo 68 che viene ricordata dall’evangelista Giovanni a proposito della violenta reazione di Gesù di fronte ai mercati del tempio di Gerusalemme, scacciati a frustate.
Convertito dalla bellezza del canto liturgico, il fenomenale F non si sentiva più a casa in una messa cattolica che aveva scelto la strada della comprensibilità e dell’impegno sociale, nello spirito dello straordinario Concilio Vaticano II. Che don Lorenzo forse ha sottovalutato, preso com’era dalla sua passione per la liturgia. Per questo, negli ultimi anni che precedono la sbandata fatale del gennaio 1976 sull’Autostrada del Brennero, tornando da Monaco a Trento, ancora in territorio sudtirolese vicino a Vipiteno, il fenomenale F aveva intensificato l’impegno pedagogico nei confronti delle nuove generazioni trentine, con accenti affettuosi e accorati come in questa lettera a Danilo Curti, allora sotto naja, del settembre 1974: “Non so fino a che punto ho il diritto, o faccio bene, a indirizzarti su questo arduo e solitario cammino… Tu da parte tua non devi cadere nell’errore di essere già qualche cosa, e di non aver bisogno di diventarlo con molta fatica e molti rovesci, con speranze vane e anche con colpi inaspettati di fortuna, ma sempre con un impegno senza vacanze…”.
Solitudine, fatica, impegno: le compagne inevitabili di ogni studio e di ogni lavoro preso sul serio, fino in fondo, con una passione che diventa destino. È una delle grandi lezioni del fenomenale F, l’American in Trent, cercatore (e non predatore) dell’arca perduta della grande bellezza.