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Gli Houthi e gli attacchi alle navi mercantili nel Mar Rosso, traffico -40% nel Canale di Suez: quali le implicazioni economiche?

DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 20 gennaio 2024

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

Di Stefano Schiavo - Professore di Economia e Direttore della Scuola di Studi Internazionali

 

Negli ultimi tre decenni l’economia mondiale ha vissuto una fase di intensa globalizzazione, un fenomeno ampio e variegato che si manifesta anche nei flussi di merci che percorrono il globo. Il progresso tecnico e lo sviluppo dei trasporti e nelle tecnologie di comunicazione facilita gli scambi internazionali e rende le economie dei vari paesi sempre più interconnesse. Nonostante il progresso però, le rotte marittime rimangono tanto importanti oggi quanto lo sono state in passato: circa l’80% dei beni scambiati a livello internazionale viaggia (almeno in parte) via nave. E se le nuove tecnologie permettano di sapere in tempo reale dove si trovano le merci, le rotte commerciali rimangono soggette a colli di bottiglia che, se compromessi, possono avere impatti negativi su scala mondiale. Queste strettoie sono rappresentate da passaggi obbligati come canali artificiali (Suez, Panama) o stretti bracci di mare (lo stretto di Malacca o quello di Hormuz) che mettono in connessione diverse parti del mondo e possono essere evitati solo a prezzo di lunghe deviazioni.

 

Come spesso avviene, il ruolo cruciale di questi snodi si apprezza solo quando c’è un problema. Nel 2021 una nave porta-container si incagliò nel Canale di Suez, facendo da “tappo” al passaggio delle altre navi e bloccando per un’intera settimana la navigazione. Oggi invece, il commercio internazionale è ostaggio degli attacchi perpetrati dagli Houthi, un gruppo armato che controlla parte dello Yemen e che, in solidarietà con il popolo palestinese da qualche settimana sta attaccando le navi commerciali che transitano per lo stretto di Bab al-Mandab. Si tratta di un braccio di mare largo circa 30 km che connette il Mar Rosso con l’Oceano Indiano e, quindi, rappresenta la porta di ingresso verso il canale di Suez e il Mediterraneo per tutte le navi provenienti dall’Asia (e, di converso, un passaggio obbligato per quelle che dall’Europa vanno verso est).

 

Attraverso il Mar Rosso e il canale di Suez passano il 12% del commercio internazionale e il 10% del gas e del petrolio mondiali e quindi quel braccio di mare rappresenta uno snodo particolarmente critico. L’area non è nuova a problemi per la presenza dei pirati somali, che in anni recenti hanno creato problemi a diverse navi e portato molti paesi a stabilire una presenza militare a Gibuti (nel corno d’Africa) allo scopo di garantire la libertà di navigazione.

 

La situazione odierna appare però più complicata da gestire perché gli attacchi sono compiuti utilizzando missili lanciati da un territorio ostile sul quale i paesi occidentali hanno scarso controllo. Gli Houthi inoltre, appaiono ben armati e ben addestrati (principalmente dall’Iran), dopo anni di conflitto in Yemen contro una coalizione guidata dall’Arabia Saudita.

 

Le conseguenze economiche degli attacchi si riflettono in un aumento dei costi di trasporto. Diverse compagnie marittime hanno deciso di abbandonare la rotta che passa per il Mar Rosso e preferiscono circumnavigare l’Africa, allungando i tempi di viaggio di circa 10 giorni. Questo rappresenta un incremento di circa un terzo per un viaggio da Shanghai a Rotterdam, una delle rotte più trafficate, che dura normalmente un mese. Per il nostro paese, la scelta delle compagnie di navigazione di abbandonare il canale di Suez ha un impatto sui porti italiani, che si vedono tagliati fuori dai flussi commerciali e perdono il vantaggio competitivo dato dalla loro posizione al centro del Mediterraneo.

 

Chi è ancora più esposto a questa situazione è senza dubbio l’Egitto, dato che le tariffe di transito pagate dalle 25 mila navi che nel 2022-2023 hanno attraversato il Canale di Suez hanno fruttato circa il 2% del PIL, mentre nei primi 15 giorni di gennaio il traffico è calato del 40% rispetto allo stesso periodo del 2023. È forse auspicabile che, di fronte ad una prospettiva di questo tipo, il governo egiziano si adoperi per arrivare ad una de-escalation e una soluzione diplomatica della crisi.

 

Una domanda che molti si pongono è se questi accadimenti possano portare a un nuovo rialzo del prezzo dell’energia e, più in generale, spingere verso l’alto l’inflazione e ritardare la discesa dei tassi di interesse che sembra finalmente all’orizzonte. Fortunatamente questo sembra, almeno per ora, scongiurato. L’attuale congiuntura internazionale, che vede sia la Cina sia parte dell’Europa alle prese con un rallentamento dell’economia, fa sì che al momento la domanda mondiale non sia elevata. La situazione appare quindi molto diversa da quanto avvenuto durante la ripresa post-Covid, quando i colli di bottiglia logistici hanno senz’altro contribuito a rafforzare la pressione al rialzo sui prezzi. Anche dal punto di vista energetico, eventuali ritardi nelle forniture di gas e petrolio all’Europa non destano particolari preoccupazioni perché le riserve sono ampie e, di nuovo, la debolezza dell’economia mondiale fa sì che la domanda sia relativamente ridotta.

 

Nonostante la crisi nel Mar Rosso non abbia avuto, per il momento, ripercussioni economiche particolarmente gravi, essa accende nuovamente una spia di attenzione sulla sostenibilità e sulla robustezza di catene di approvvigionamento molto lunghe e poco diversificate. Questo tema era emerso già a partire dalla guerra commerciale USA-Cina iniziata nel 2018 e poi è stato reso evidente dalla pandemia. Le imprese europee dovranno riflettere sulle strategie di diversificazione delle proprie forniture e dei propri mercati di sbocco se non vogliono continuare ad essere ostaggio di fenomeni, naturali o geopolitici, sui quali non è possibile avere controllo.

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