L’irrazionale ingenuità del cancro: quando l’abuso della medicina alternativa diventa letale - Parte2
Siamo un'associazione di giovani studenti o ex-studenti, impegnati nella divulgazione scientifica. La wet biology è l'attività di ricerca che si fa in laboratorio e a noi piace mettere le mani in pasta
Perché proprio il cancro? Ci siamo lasciati con questa domanda nella prima parte dell’articolo. O meglio, perché si riscontra un tasso così elevato di ricorso alle medicine complementari e alternative (il 43% dei malati di cancro ne ha fatto uso nel 2010) in un gruppo di malattie così tra loro eterogenee e diversificate?
La risposta che più si avvicina alla realtà, è forse anche quella più semplice. Il cancro è un fenomeno ad elevatissimo impatto sociale. Nelle sue molteplici e perfide sfaccettature colpisce più o meno direttamente gran parte della popolazione, che sta imparando a conoscerlo, e a temerlo. Di cosa sia il cancro e quanto difficile sia pensare di poterlo curare, OWL ne ha già scritto in passato (qui l’articolo di Dennis Pedri). Già questo tipo di informazioni a carattere generale potrebbero bastare per capire che l’assunzione di una qualsiasi erba a presunto scopo curativo, ben poco potrebbe fare per contrastare un gruppo di patologie di tale complessità. Anche solo per il semplice fatto che un singolo prodotto elevato a quintessenza terapeutica contro tutti i mali, qualunque sia la natura o l’origine del medicinale, è logicamente inimmaginabile.
Ma, come detto in precedenza, la medicina alternativa non parla alla sfera razionale dei propri clienti, per sedurli. Il repertorio linguistico, al contrario della fantasia delle soluzioni proposte, è piuttosto limitato: in quello che è ormai diventato un monotono cliché, tutti promettono e annunciano a gran voce cure miracolose, rimedi naturali e approcci rivoluzionari. Eppure, l’incredibile efficacia nel catturare consensi è incontestabile. “Quando siamo aperti e in uno stato di fiducia, allora appaiono davanti a noi le persone, le situazioni e gli strumenti più giusti”, diceva Jessica Ainscough, seguace del metodo Gerson e morta di sarcoma nel 2015. Ed è proprio qui che pongono le proprie radici le terapie non convenzionali: una diagnosi di un tumore può portare sconforto, disperazione, così come la necessità di doversi sottoporre a terapie con effetti collaterali preoccupanti. E la decisione di rivolgersi a pratiche alternative trova fondamento sia in motivazioni di carattere positivo (la speranza di non incorrere in effetti collaterali), sia di carattere negativo (la disaffezione rispetto all'approccio della medicina ufficiale, considerato impersonale e troppo tecnologico). Non ho nulla da perdere a provarlo. La più classica delle ingenue affermazioni di chi compie una scelta irrazionale, dà anche il titolo ad una guida fornita dall’AIFA (qui nella versione originale in inglese) che cerca di sfatare questa pericolosa quanto diffusa credenza, nell’ottica di favorire una corretta informazione.
Link bonus: per chi mastica l’inglese, un’oncologa racconta in un articolo struggente sul Guardian la propria esperienza con pazienti che hanno fatto ricorso alla medicina alternativa.
I progressi della chemioterapia
Denominatore comune della conversione alle medicine alternative da parte dei malati di cancro è il rifiuto della chemioterapia. Tuttavia, mostrano i dati, è proprio grazie ai passi da gigante di questa ed altre terapie della medicina scientifica se oggigiorno ai tumori si può sopravvivere. In Italia, racconta il Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica a Repubblica, ci sono circa 3 milioni di persone che continuano la loro vita dopo una diagnosi di tumore (con un incremento del 17% dal 2010 al 2015). E un milione e 900mila persone possono affermare di aver sconfitto la malattia. Oggi il 68% dei pazienti a cui vengono diagnosticati tumori frequenti vince contro la malattia; percentuali che raggiungono il 91% nella prostata e l'87% nel seno, le due neoplasie più diffuse fra gli uomini e le donne.
Al coro si univa anche il recentemente scomparso Umberto Veronesi: “Bisogna liberare la chemioterapia dallo stigma di cura devastante, che fa paura più del cancro stesso.” Anch’egli riconosceva che in passato è stata utilizzata in modo improprio, tra dosi massicce e pazienti terminali usati come target. Ma negli ultimi decenni è avvenuta una rivoluzione di pensiero per cui nella cura dei tumori si applica il principio del minimo trattamento efficace. I farmaci chemioterapici rimangono una terapia pesante e impegnativa per la persona, ma sono molto più efficaci nel combattere il tumore e gli effetti tossici delle cure sono molto più limitati e controllabili. In generale, la sopravvivenza da tumore è aumentata per vari fattori, come una maggiore diffusione degli screening, la riduzione del fumo da tabacco, l'arrivo di terapie a bersaglio molecolare e poi ancora l'immunoterapia.
La libertà di cura
Quindi, numeri alla mano, possiamo pensare di imporre alcune cure con evidenze sperimentali di efficacia come unico trattamento disponibile per tutti i pazienti? Ovviamente no. Il motivo è facilmente intuibile: il diritto alla salute dell’individuo rientra nella sua autodeterminazione. Da una parte, il medico è obbligato ad informare il paziente su tutti gli aspetti della cura prima acquisirne il consenso. Questi aspetti sono regolati dall’Art. 15 del Codice di Deontologia Medica, che cita anche: “Il medico non deve sottrarre la persona assistita a trattamenti scientificamente fondati e di comprovata efficacia”. Deve quindi assicurarsi che il paziente sia conscio di benefici ed eventuali effetti collaterali, ma non può obbligarlo a seguire una cura. Dall’altra parte, al paziente è costituzionalmente garantito il diritto a rivolgersi ad altri metodi, per i quali non sarà però fornita la copertura economica del servizio sanitario nazionale. Il servizio tutela ciò che è scientificamente riconosciuto, dopodiché ognuno è libero, a proprie spese, di decidere della propria salute.
Chi non è invece libero di decidere per sé stesso è il minore, come nel caso di Eleonora Bottaro, citato nella prima parte dell'articolo e di nuovo sotto i riflettori negli ultimi giorni per l’accusa di omicidio colposo ai genitori. Sono molte le situazioni di questo tipo, e spesso si rende necessario l’intervento del giudice tutelare, il quale decide per il minore quando ritiene che i genitori non stiano agendo per il suo bene.
Sono innumerevoli i casi di truffe legate alla medicina alternativa nei quali masse di manifestanti sono scese in piazza per invocare la libertà di cura. E l’Italia è stata più d’una volta tristemente protagonista di questi episodi: da Liberio Bonifacio che voleva curare i tumori con escrementi di capra, al metodo Di Bella che individuava l’elisir nella somatostatina, al più recente scandalo Stamina. Tutti questi casi presentano elementi comuni che ne favoriscono l’iniziale ascesa: toccano tematiche delicate e di forte impatto emotivo (tumori o bambini malati), portano le persone in piazza e soprattutto coinvolgono la politica, che sotto pressione decide di istituire commissioni e avviare sperimentazioni temporanee. Per quella relativa al metodo Di Bella, vennero reclutati 386 pazienti: 97 morirono, 32 dovettero interrompere il trattamento perché tossico, 199 presentarono una patologia in progressione, 47 una stabile e solo 3 ottennero una risposta parziale. Un disastro.
Si può fermare il serial killer?
La domanda è ovviamente provocatoria, ma gli eventi di cronaca in aumento destano molta preoccupazione. Il paragone volutamente iperbolico con un criminale che colpisce in modo seriale non vuole puntare il dito contro qualcuno o qualcosa in particolare, bensì concentrare l’attenzione su una caratteristica comune di questi casi tristemente simili: nella maggior parte di essi si tratta di tragedie che si potevano evitare. O quantomeno contenere, rallentare, dar loro speranza. La stessa speranza tanto invocata dalle cure non convenzionali che hanno allontanato quei pazienti dalla probabilità di sopravvivenza.
Si può davvero invertire questa tendenza? E’ fattibile pensare di poter informare adeguatamente tutti i malati e i loro familiari affinché non prendano scelte sconsiderate per la loro salute?
La quasi totalità delle autorevoli voci citate, si trova d’accordo su un punto chiave della questione: il rapporto di fiducia tra medico e paziente. “La maggiore capacità diagnostica di tipo strumentale e il potenziamento dei mezzi terapeutici hanno modificato lo scenario culturale nel quale porre valori e simboli della salute umana”, si legge ancora sull’Enciclopedia della Scienza e della Tecnica Treccani. Si sta perdendo quella che è la dimensione antropologica della malattia, si escludono gli spazi e si tagliano i tempi al coinvolgimento della dramma personale del paziente. Egli finisce per sentirsi sempre più solo e abbandonato dal sistema sanitario, che limita la comunicazione ad una dimensione clinica e tecnologica di difficile comprensione, e che dimentica progressivamente l’empatia. “I vari guaritori hanno successo con i malati e le loro famiglie perché dedicano molto tempo al dialogo. Senza perdere la sua scientificità anche la medicina deve recuperare la sua capacità di prendersi cura della persona nella sua unità inscindibile di mente e corpo”, continuava Veronesi nello stesso articolo. E ancora, il presidente di Aiom sostiene che se non si dedica tempo per comunicare le informazioni giuste e comprendere le necessità dei pazienti “il rischio è che perdano la fiducia in noi e diventino facile preda di promesse terapeutiche infondate”.
Una medicina intesa quindi come condivisione, rifiutando l’approccio di imposizione paternalistica. Anche di queste considerazioni ci siamo già occupati in passato ad OWL: perché le scelte dei pazienti siano informate e consapevoli, scrive Gian Marco Franceschini sul nostro blog, “occorre forse coltivare più complicità e meno riverenza”. Il tutto senza perdere di vista il paradigma scientifico, che costituisce garanzia di controllabilità e strumento di tutela dei soggetti che, soprattutto se sofferenti, sono socialmente più deboli.
Concludendo, Michela Dell’Amico su Wired rimarca quanto sia importante parlarne, continuare a raccontare di questi casi: “perché nessuna giovane vita sia di nuovo manipolata in modo così criminale, sfruttando la disperazione per soldi”. Anche noi di Open Wet Lab siamo su questa linea di pensiero, facendo della divulgazione scientifica una delle nostre missioni, in modo volontario e appassionato. Perché l’educazione diventi un buon candidato ad essere l’unico vero elisir di lunga vita.
(Nicola Fattorelli)
Alcune delle fonti principali:
- National Center for Complementary and Integrative Health (NCCIH).
(https://nccih.nih.gov/health/cancer/complementary-integrative-research)
- Complementary and alternative medicine use among cancer survivors: a population-based study (Mao 2011).
(https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20924711)
- Use of unconventional medicine in Italy: a nation-wide survey (Menniti-Ippolito 2002). (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11956675)
- The prevalence of complementary and alternative medicine use among the general population: a systematic review of the literature (Harris 2000).
(https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10859601)
- AIRC. (http://www.airc.it/cancro/disinformazione/)
- AIFA. (http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/non_ho_nulla_da_perdere_a_provarlo.pdf)
- Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, Treccani.it