Un santuario degno dei templi buddisti o degli eremi turchi e greci, a due passi da Rovereto
Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia.
Dopo alcune belle uscite sulle pendici meridionali del Monte Baldo e qualche scialpinistica sul Monte Stivo (2059 m) in compagnia del buddista meditabondo Max Sgrebençao, sul sempre emozionante Monte Fravort (2347 m) con i suoi venti gelidi, sul Monte Slimber (2204 m) in Val dei Mocheni e sul bellissimo Colle San Giovanni (2251 m) in Val Campelle, non potevo rimanere immune dal raffreddore/influenza che ha colpito metà della popolazione italiana. E così da bravo paziente, anche se senza febbre, avevo deciso di prendermi 3 giorni di assoluto riposo, rimpinzandomi di medicinali più o meno chimici e di cure della nonna.
Ma constatata l’inutilità di ogni cura e per fortuna ancora privo di febbre, ho pensato di trovare un altro rimedio gettando il cuore oltre l’ostacolo: “Mi preparo un marsupio di fazzoletti di carta e vado a sudare in montagna! Vada per la terapia d’urto”. Ecco quindi la cronaca di tre giorni di scorribande a varie quote, caratterizzate da differenti approcci ed effetti divisa in puntate.
1° giorno : Salita al Santuario della Madonna della Corona
Fin dai miei anni universitari avevo notato, percorrendo col treno la Valle dell’Adige, una costruzione incastrata a strapiombo sulla roccia nel tratto all’altezza di Brentino Belluno. Mi ricordava, in sedicesimo, la visione dei templi nella roccia, come ad esempio il Nido della tigre, il più famoso e uno dei più antichi templi buddisti del Bhutan, costruito ad un'altezza di 3500 metri.
Da allora mi è sempre rimasta la curiosità di vedere questo Santuario della Madonna della Corona, del quale sapevo che un’ardita scalinata permetteva di raggiungerlo dal fondovalle. "Potrei chiedere la grazia per questo raffreddore, sperando che da miscredente non mi crolli invece il santuario in testa - avevo pensato - e magari ne approfitto per indagarne l’architettura".
E così, starnutendo ad ogni tornante e riempiendo un sacchetto di fazzoletti di carta, affronto gli oltre 1500 gradini in pietra distribuiti su 5 chilometri per un dislivello di circa 600 metri. Di seguito una breve descrizione tratta dal sito www.magicoveneto.it/Baldo/SMCorona/Sentiero-dei-Pellegrini-Brentino-Sant.... Lo storico 'Sentiero dei Pellegrini' (o sentiero della Speranza) che dal fondo della Val d'Adige, in località Brentino, sale al Santuario della Madonna della Corona è uno degli itinerari più belli e frequentati del veronese, sia per gli aspetti paesaggistici e le valenze culturali e sia quale vera e propria Via Crucis di fede. Il Venerdì Santo viene percorso in processione recitando il Rosario e trasportando una statua della Madonna Addolorata. Se il Santuario è indubbiamente uno dei più suggestivi ed il più ardito d'Italia, il sentiero storico non è da meno e permette di raggiungere la Basilica nel modo migliore.
Da Brentino si sale la caratteristica scala selciata, poco dopo il sentiero s'inoltra nella boscaglia e più oltre si trova la croce di cemento che domina la valle e la prima stazione della Via Crucis. In questo primo tratto la vista sulla grande arteria dell'autostrada del Brennero e soprattutto i rumori delle auto e dei treni in transito sono leggermente fastidiosi. Dopo alcuni tornanti il sentiero dirige decisamente verso l'interno del grande vajo e diventa via via più aereo e panoramico, con affascinanti visioni sui grandiosi paretoni rocciosi e l'orrido fondo della gola. A metà percorso, quando uno scorcio permette di vedere alto il Santuario, la traccia aggredisce decisamente il verticale e repulsivo paretone del monte Cimo.
Sembra non vi siano passaggi praticabili. Ed invece un'arditissima scalinata, completamente scavata sulla roccia, incide il verticale paretone e sale a zig zag, cambiando direzione in una suggestiva grotta, e guadagna il ripidissimo terrazzo pensile dirimpettaio alla nicchia del Santuario.
Un ponte a due campate di pietra getta un passaggio sul burrone e si appoggia alla verticale parete sotto il Santuario che si raggiunge tramite una incredibile scalinata completamente scavata nella roccia. Il seicentesco ponte è chiamato 'Ponte del Tiglio' per il fatto che fino ad allora il passaggio si affrontava cavalcando un albero di tiglio cresciuto di traverso causa un grosso masso.
Quest'ultimo tratto, dove la scala nei pressi del ponte è sbarrata da un cancello ed un muro, è l'esposto percorso originario anche per i pellegrini provenienti dal soprastante paese di Spiazzi prima della costruzione, del 1922, della galleria che permette un facile accesso dal piazzale dove arrivano i bus-navetta.
Difficoltà: facile e percorribile da tutti, tuttavia si tenga presente che è una vera escursione alpina e come tale va affrontata in maniera adeguata. Sconsigliabile in inverno, per neve e tratti ghiacciati che potrebbero essere pericolosissimi. Quasi tutto l'itinerario è sul versante nord. Tempo di percorrenza: circa due ore per la salita ed un'ora e trenta per la discesa. Caratteristiche: continua alternanza tra gradinate, gradini scolpiti nella roccia, gradini selciati e tratti di sentiero. A tratti la salita è abbastanza ripida. Tratti più suggestivi a metà percorso con le scale scolpite sul verticale fianco del monte Cimo e la lunga scalinata finale tra il Ponte del Tiglio ed il Santuario, con i caratteristici sette capitelli che richiamano i Sette Dolori di Maria”!
Una volta arrivato il clima mi sembra internazionale: due devote filippine fanno orazioni dentro il Santuario, mentre una famigliola americana scatta foto e conta più volte i gradini di accesso alla Chiesa (avranno perso il conto?). Altri, tedeschi, percorrono in piedi i 28 gradini della Scala Santa interna che un cartello in tre lingue (compreso il tedesco) invita a salire in ginocchio e con penitente devozione.
Sudaticcio e raffreddato, mi soffermo a scattare varie foto dell’interno e agli ex voto raccolti in teche vetrate esposte nelle navate minori. Esco poi al sole e considero che effettivamente le somiglianze con alcuni templi scavati nella roccia visti in Turchia e in Grecia sono impressionanti.
Finita la visita, continuo su una infinita teoria di gradini in pietra che in un quarto d’ora mi conduce al paesino di Spiazzi, dove varie trattorie tentano come demoni melliflui, i pellegrini appena mondati dai peccati culinari.
Resisto alle tentazioni sgranocchiando granaglie di vario genere su una panchina e, prima che il sole tramonti, mi rifiondo in valle seguendo lo stesso percorso dell’andata. Mi attende una piacevole sorpresa: scopro che gli alpaca non sono i lama! (ovvio, ma mica tutti conoscono l’esatta differenza). Mi imbatto infatti in un piccolo allevamento di alpaca, cammellidi simili ai lama che producono una lana pregiatissima, e che hanno un aspetto “trappolotto” che tanto fanno innamorar le femminucce.
In discesa le venerande ginocchia vengono messe a dura prova ma in poco più di un’ora raggiungo l’abitato di Brentino Belluno dove mi aspetta la gloriosa Rifattona che ormai ha varcato i 330.000 chilometri di servizio. Poco prima del parcheggio trovo un pannello esplicativo che spiega che in zona è possibile praticare canyoning nel vicino Vajo dell’Orsa (affidandosi però ad una guida autorizzata) o compiere varie escursioni ad anello che potranno essere ottimi suggerimenti per prossime uscite primaverili.