Tre cime in solitaria tra Despacito, Leoncavallo asini e ferrate da mozzafiato
Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia.
Questa volta sembravano non esserci problemi: l’indomani, con l’amico Nick Ravannah ci aspettavano 3 cime poco frequentate ma ottime per una panoramica spettacolare sulle Dolomiti. Il tempo si preannunciava perfetto….. Ma invece: “Ciao Lou, per domani non faccio nulla. Mi sono beccato ancora la malaria…..ho la febbre a 39 e dolori alle ossa. Brividi e accessori vari!”. Accidentaccio povero Nick. L’ultimo viaggio in Nuova Guinea sta avendo strascichi e lo stress patito nei voli di rientro oltre al un clima non proprio asciutto ma ideale per le zanzaracce devono aver scatenato nuovamente il virus.
Gli auguro di cuore una pronta guarigione, ma ormai il dado è tratto e lo zaino è pronto: domani alle 6 sveglia, mi preparerò un intruglio di acqua zucchero mascobado, sale himalayano e succo di limone e che Buddha mi assista (soprattutto per questa “bevanda”…). Alle 7.45 sono a Pozza di Fassa, imbocco la Val San Nicolò, ignoro la partenza ufficiale di questo anello lungo e faticoso, comprensivo della via ferrata Franco Gadotti, nei pressi della malga al Crocefisso e continuo risalendo la Valle dei Monzoni con la vecchia Rifattona, fin dove vengo fermato dal segnale di divieto, poco prima (mezzora a piedi) della Baita Monzoni.
Dopo qualche chilometro camminando su strada, imbocco il sentiero 635, ma ecco la prima cosa strana della giornata: due asini mi scrutano con fare amichevole da un piccolo recinto; poco più avanti, un altro se ne sta dietro ad un albero…. Chissà che ci fanno qui ‘sti aseni! Mi inoltro finalmente nel bosco il sentiero è quasi pianeggiante e lungo. Come dice l’amico Max Szgrebeny, buddista meditabondo, il camminare è una forma della meditazione verso l’Illuminazione e infatti, lasciando fluire i pensieri, osservandoli come tronchi che passano nel fiume, senza soffermarmici, mi ritrovo a canticchiare la qualsiasi, passando ingloriosamente dall’odiosa Despacito a Ridi Pagliaccio del Leoncavallo…. Credo che si sia qualcosa che non quadri molto bene, ma quando il sentiero si inerpica verso il Bivacco Zeni a oltre 2000 m. mi accorgo che rischio un paio di volte di scivolare malamente sui sassi lungo il sentiero: maledico le scarpe, l’infido ciabattino che le ha risuolate e il singolo sasso che il Maligno ha voluto mettere sul mio cammino, ma, meditando, Buddha mi suggerisce tre risposte: suole troppo nuove, scarpe mal progettate e risultato della tremenda grandinata della sera precedente che ha ridotto il fondo ad una fanghiglia instabile.
Opto per la terza risposta e più avanti mi imbatto in una coppia di fidanzati che mi colpisce per la sua “modernità”: lei, piccola di statura, cammina davanti spedita, con grosso zaino sulla schiena dove presumo ci sia l’attrezzatura di entrambi per affrontare la ferrata; lui più indietro, alto, barba da hipster e con un minuscolo zaino da runner dove ci sta a malapena una borraccia da mezzo litro. Sta faticando a tenere il passo…. Finalmente inizia la ferrata: non difficile, mai particolarmente esposta o verticale. Tutta nuova e sistemata al punto che i più esperti ferratisti potrebbero farla anche senza attrezzatura, ma io almeno il caschetto lo indosso per evitare pietre dal cielo e dopo qualche tratto mi imbrago e procedo come si conviene. Dopo alcuni tratti tra rocce, rampe ghiaiose che facilitano la via verso l’Inferno e qualche camino, si sbuca su una forcelletta dalla quale, aldilà di un ampio anfiteatro detrico, si vede la prima croce della Cima Dodici a 2446m.
“Doudesc” come la chiama in ladino Nick Ravannah, farebbe molto effetto Tibet, ma il modo per raggiungerla non è sicuramente così complicato e non servono nemmeno sherpa. Vedo dietro di me la coppia con la “donna portatrice” e mi faccio alcune domande: che il suo ragazzo si sia forse fatto ingannare dal suono del nome? Sulla vetta la vista verso la sottostante Val di Fassa e sul mondo dolomitico circostante, è impressionante. Nuvole neanche a cercarle. In prossimità di questa prima cima vengo raggiunto da un poderoso bancario fassano, che, cellulare in mano per organizzare lavori e con il piglio di chi di prima mattina ha litigato con il resto della famiglia sull’altrernativa di fare un giretto sulla ciclabile a fondo valle, si allontana con passo veloce e sicuro verso la seconda cima: Cima Sass Aut a 2555 m.
Dista solo una mezzora e, fino a questo punto, ho un vantaggio di 20 minuti sulla tabella di marcia. Il bancario non si imbraga, supera alcune cenge e spigoli ed infine ad ampie falcate giunge alla vetta. Lo seguo come una vecchia Prinz verde degli anni ’60, arrancando ma per fortuna senza suore a bordo (i miei coetanei capiranno….) e sulla seconda vetta ci scambiamo ancora qualche parola dopo che generosamente mi ha aspettato. Dai sorprendenti pianori erbosi che costituiscono la sommità del Sass Aut, scendiamo assieme nel selvaggio canalone stretto tra due vertiginose pareti di roccia liscia. Entrambi evitiamo di attaccarci al cavo perché, visto il fango, sarebbe più rischioso che scendere sui detriti. Solamente alla fine, al camino detto Bus del Diaol, indosso longe e imbrago, mentre il bancario procede indefesso con l’attrezzatura nello zaino. Ora è un continuo saliscendi tra pendii sassosi e insellature fino alla Forcella Baranchiè (2550 m.)
Un bugiardo segnale mi dice che manca ancora un’ora di salita per arrivare alla Cima Valaccia. Mi cadono braccia e ammenicoli: “Non è possibile, la croce la vedo! Non sembra così lontana! Oh Manitù, sospingimi con forte vento e generoso!”.
Prima di percorrere la cresta Sud, mi drogo con una mezza tavoletta di cacao al 73% dell’Ecuador e innesto la ridotta. Dieci minuti dopo sono finalmente sulla terza cima con 50 minuti di anticipo (4 ore e 40 dalla macchina) sulla tabella oraria totale. A questo punto, o il cacao fondente conteneva mescalina e peyote che, come suggerisce Carlos Castaneda, facilita il teletrasporto, oppure l’intruglio casalingo bevuto in mattinata ha effetti simili, proiettandomi in un mondo parallelo dove il tempo e la distanza non vanno d’accordo.
Mi fermo lì: mangio, bevo, fotografo e scendo finalmente verso la “civiltà turistica” della val Gardecia che con vista su Monzoni, Marmolada, Piz Boè, Sassolungo e Sassopiatto e Vattelapesca, mi fa raggiungere La Forcela de la Costela prima e il bivio per la Punta Undici più sotto. Potrei fare la quarta Cima (si dice sempre così a pancia piena e in discesa), ma un impegno di lavoro a Pera di Fassa mi suggerisce di risparmiare tempo per presentarmi in modo accettabile senza scarponi, zaino e magari picozza in mano. Bevo il radler più costoso della Storia al Rifugio Valacia e poi continuo a scendere indispettito dai lavori di ampliamento del sentiero che porta al rifugio, fino a creare una vera e propria carrareccia ad uso del solo gestore del rifugio (peraltro servito da teleferica).
Una vera e propria ferita nei pascoli e nel bosco a suon di caterpillar che sicuramente tra una decina d’anni sarà asfaltata e pronta scaricare veicoli ad un passo dal rifugio a 2275 m.
Sono quasi arrivato alla fine: incontro altri asini al pascolo: ci sono più asini che vacche e penso come in incubo di essere arrivato al campeggio di miei ex studenti. Alcuni bikers mi dicono che un asino è scomparso qualche giorno prima, probabilmente ucciso e divorato dai lupi che ormai si affacciano in questa valle.
Alcuni turisti cercano panchine della Pro Loco sui pascoli alti (!) per mangiarsi la pizza d’asporto di mezzogiorno (!!), mentre un’orda di tredicenni canta a squarciagola inquietando delle rare vacche dal pelo lungo e nero.
Altri asini per alcuni selfies (credo di aver trovato il mi vecchio amico Lucignolo) e finalmente arrivo alla mia auto Rifattona dove, dopo 7 ore di marcia (comprese le dovute pause rifocillanti) , 1600 merti di dislivello, per un totale di 13 Km e di 27.194 passi (come indicano le app dello smartphone), cerco di riacquistare in lucidità.
Per chi volesse saperne di più, ecco le indicazioni tratte dal sito www.vieferrate.it
ITINERARIO
L'itinerario è dedicato alla memoria di Franco Gadotti,alpinista di Trento caduto al Campanile Pradidali (Pale di San Martino) nel 1976 all'età di 21 anni. Nonostante le difficoltà tecniche moderate, per la lunghezza, dislivelli e la quasi completa assenza di punti d'appoggio è un itinerario che richiede di essere affrontato in eccellenti condizioni di forma; per gli stessi motivi è poco frequentato, e pertanto offre la possibilità, anche nei più affollati giorni di agosto, di passare una giornata solitaria in uno splendido ambiente al di fuori del caos di quasi tutti gli itinerari delle zone circostanti.
AVVICINAMENTO
Si segue dapprima una comoda stradina senza dislivelli significativi e quasi parallela al Rio San Nicolò,quindi si prende decisamente verso S in direzione della Valaccia, inerpicandosi ripidamente nel bosco verso e costeggiando ripetutamente il Rio Valaccia. Si attraversa qualche ghiaioncello mentre la vegetazione si fa gradatamente più rada; a quota 1900m. circa, in corrispondenza di una zona con grossi massi, si incrocia il sentiero che, traversando dalla Valle dei Monzoni a E sotto il versante N del gruppo della Valaccia, digrada poi a O, con varie alternative, verso la Val di Fassa.
LA FERRATA
Il percorso è a questo punto sbarrato da un risalto roccioso che si supera sulla destra per un tratto attrezzato con corda metallica per alcune decine di metri su placche inclinate,spesso bagnate ed un po' delicate ma non difficili; da qui, in breve, si raggiunge il Bivacco Donato Zeni (2090m.-1.40h fin qui) su una verde terrazza erbosa proprio in mezzo alla V formata a sinistra (O) dalla poderosa bastionata E della Cima delle Undici, al vertice (S) dalla Punta Vallaccia e a destra (E) dalla successione (da N verso S) del Sasso delle Dodici, Sass Aut, Sas da Stengia e Mezza Luna. Ci si rivolge quindi a destra verso il versante ENE del Sass Aut, lungo il quale,partendo pochi metri sopra il bivacco,si sviluppa il tratto più tecnico di tutto l'itinerario che si dipana per strutture rocciose molto varie e sempre ben attrezzate, inframmezzate a tratti erbosi; alcuni passaggi sono molto esposti e richiedono assenza di vertigini, ma non presentano difficoltà eccessive; il tratto più impegnativo è rappresentato dall'uscita di un canale/camino lungo una paretina attrezzata con pioli e corda metallici; per una rampa ghiaiosa si giunge ad una caratteristica forcelletta (2390m. ca.) che si affaccia su di un ampio anfiteatro detritico il cui lato E, di fronte, scende dal Sasso delle Dodici, ora ben visibile; si scende qualche metro e si attraversa per detriti risalendo fino ad un'insellatura (2405m.) della cresta erbosa che separa il Sasso delle Dodici dal Sass Aut, che si percorre senza difficoltà verso N raggiungendo in brevissimo tempo la croce sulla cima del Sasso delle Dodici (2443m.-3.10h fin qui). Si ripercorre la cresta verso S, oltrepassando l'insellatura e trascurando sulla destra il sentiero che consente di calare verso la Val di Fassa; quando la cresta si fa rocciosa, la si segue mantenendosi sulla sinistra di essa e, attraverso un canale delicato (possibilità di neve a inizio stagione) e salti di roccia ben assicurati, si raggiunge la sommità erbosa del Sass Aut (2555m.-3.50h fin qui). Si prosegue ancora verso S in discesa lungo i verdi prati che conducono all'imbocco di uno scosceso canalone in discesa che si incassa profondamente tra due pareti sormontate da un alto soffitto costituito da grosse lastre e blocchi incastrati: si tratta del Bus del Diaol,uno dei punti più caratteristici di tutto l'itinerario; usciti dal tunnel naturale, si prosegue ancora meno ripidamente fino alla base della gola (2380m. ca.) dove terminano le attrezzature metalliche. Si prosegue quindi la marcia, in taluni punti abbastanza faticosamente, salendo per zone per lo più detritiche, traversando verso S sotto il Sass de Stengia e la Mezza Luna; si oltrepassa il circo detritico della Busa di Baranchiè attraverso l'omonima Forcella di Baranchiè (2550m. ca.) e, sempre attraverso detriti, si guadagna ad una selletta la cresta S, percorrendo la quale si raggiunge la Punta Valaccia (2637m.-5.30h fin qui); magnifici panorami sulla sottostante profonda gola della Valaccia,e a 360° sui tutti i gruppi montuosi fassani, sulle Pale di San Martino e sul Lagorai. Si ridiscende verso SE prevalentemente per pendio erboso, mirando al caratteristico costone erboso della Costella (2529m.-5.40h fin qui), che rappresenta un importante crocevia di sentieri ed il punto di separazione tra le rocce sedimentarie del sottogruppo della Valaccia e le rocce vulcaniche caratteristiche dell'adiacente sottogruppo dei Monzoni; si prende a sinistra e, puntando presto verso N, si scende mantenendosi addossati alla parete E della Punta Valaccia; sulla destra si trascura un sentiero, dapprima ripido e poi con pendenze più dolci, che conduce comunque in pochi minuti al Rifugio Valaccia (2275m.) e, attraverso i verdi prati di Gardecia, alla Valle dei Monzoni lungo la quale è possibile rientrare alla Valle di San Nicolò (con eventuale servizio di autobus dalla Malga Monzoni a quota 1862m. fino a circa 1600m.); oppure si sale alla Forcella Valaccia (2468m.-6.00h fin qui) tra la Punta Valaccia ed il Sasso delle Undici (in questo tratto possibilità di salita al Sasso delle Undici (2550m.) per evidenti e facili tracce sulla destra, 20' circa). Ci si tuffa sul nel canalone della Valaccia attraverso un meraviglioso ghiaione (sassi di grandezza uniforme e profondità abbastanza costante,ideale per chi, con ancora un po' di energia, abbia voglia di percorrerlo a salti, facendo tuttavia attenzione ai rari escursionisti in risalita; possibilità di neve ad inizio stagione) e si raggiungono in breve i pianori erbosi che conducono al Bivacco Donato Zeni (2090m.-6.20h fin qui). Attraverso il percorso di salita si raggiunge il parcheggio in prossimità della Pensione Soldanella (1450m.-7.30h fin qui), dove termina l'escursione.
Itinerario molto faticoso, da affrontare solo in eccellenti condizioni di forma.
CONSIDERAZIONI
Quote e tempi intermedi:
- Pensione Soldanella (1450mt) - Bivacco Donato Zeni (2090mt): 1.40h
- Bivacco Donato Zeni (2090mt) - Sasso delle Dodici (2443mt): 1.30h
- Sasso delle Dodici (2443mt) - Sass Aut (2555mt): 40'
- Sass Aut (2555mt) - Punta Vallaccia (2637mt): 1.40h
- Punta Vallaccia (2637mt) - Costella (2529mt): 10'
- Costella (2529mt) - Forcella Vallaccia (2468mt): 20'
- Forcella Vallaccia (2468mt) - Bivacco Donato Zeni (2090mt): 20'
- Bivacco Donato Zeni (2090mt) - Pensione Soldanella (1450mt): 1.10h