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Sulla Cima Marmotta con il buddista meditabondo Szgrebeny tra paesaggi marziani e suocere agguerrite

Cima Marmotta e le tre cime Venezia: 4 cime da 3.000 metri passando per la Val Martello. Una cascata sul lato destro della valle che nasce dalla Vedretta Alta che poi percorreremo e una insolita diga di sbarramento in pietra a secco datata 1893 valgono quasi da sole questa uscita. Quasi, però...
DAL BLOG
Di Lou Arranca (Alias Ivo Cestari) - 26 agosto 2017

Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia. 

Martedì ore 20.30. Ricevo una telefonata dall’amico Max Szgrebeny, buddista meditabondo che vanta un 7a in falesia e fin troppe cime da 3000 metri: "Domani niente Similaun, ho trovato qualcosa di più adatto a te visto che ti vanti di aver fatto 3 ferrate in un solo giorno, la settimana scorsa. Domani ci si fa la Marmotta e le Tre Venezie!" (…) (silenzio imbarazzato. L’amico buddista sta meditando troppo in questo periodo). Per la marmotta esprimo le più sentite condoglianze, ma credo di non avere 3 settimane di tempo per fare il giro a Trentino, Veneto e Venezia Giulia…

 

"Ma nooo! Che hai capito! Domani andiamo in Val Martello e in giornata raggiungiamo 4 cime da tremila metri: Cima Marmotta e le tre cime Venezia. Portati corde, imbrago, ramponi, picozza e cremina da sole che si va per vedrette! Ci si vede alle 5.45 al “Santuario della Birra” dopo Merano. Ciao".

 


 

Non ho potuto replicare e quindi sveglia alle 4 per essere puntuali all’appuntamento. Il meteo dovrebbe tenere almeno fino alle 14, poi ci sarà un 40% di possibilità di pioggia, ma forse a quell’ora saremo già sulla via del ritorno. Non si andrà quindi dal versante trentino della Val Saent, ma poiché l’amico Max vive a Merano, si opta per la me inesplorata Val Martello, imperdonabile mancanza. La percorriamo in macchina, bellissima e meno frequentata (almeno alle 6.30 del mattino) rispetto alle valli dolomitiche, con una strada che parte dal Coldrano, subito dopo Laces in Val Venosta, e che si addentra nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio fino al cospetto del Cevedale (3670 m), con splendida vista sul suo ghiacciaio, sullo Zebrù (3735 m), sul Gran Zebrù (3857 m) e sul Gruppo dell’Ortles (3905 m). Insomma, le più alte montagne della regione.

 

Salendo si susseguono coltivazioni di fragole, il più rinomato prodotto locale, grazie ad un clima ed un terreno favorevole; si lambisce, dopo alcuni stretti tornanti, il lago di Gioveretto, ed infine si lascia la macchina al parcheggio con le indicazioni per il Rifugio Nino Corsi, nei cui dintorni era situato un Comando militare austriaco durante la 1^ guerra mondiale. Sono le quasi le 7. Arietta fresca e cielo limpido. Zaini e attrezzature varie in spalla e ci addentriamo nel ripido bosco per raggiungere dopo 30 minuti la chiesetta che anticipa il primo rifugio (Nino Corsi/Zufallhütte 2264m). Il paesaggio si sta aprendo: una cascata sul lato destro della valle che nasce dalla Vedretta Alta che poi percorreremo e una insolita diga di sbarramento in pietra a secco datata 1893 valgono quasi da sole questa uscita.

 


 

“Quasi” però! Procediamo superando gradoni morenici con ripide serpentine e raggiungiamo dopo un’altra ora il Rifugio Martello a 2610 m. All’interno stanno ancora facendo le pulizie e quindi ci nutriamo di bacche, licheni e frutta secca di vario genere per affrontare le 3 ore che da lì ci separano alla prima meta: la Cima Marmotta a 3331 m. Di fronte a noi finalmente, l’imponente vedretta del Cevedale, ma quello che più impressiona è il profilo del Gran Zebrù, gigantesca piramide che da questo punto sembra il Cervino. Più distante il maestoso Ortles infila la sua cima nella coltre di nubi che, ahimè, compaiono all’orizzonte. Percorriamo verso sud il bordo della morena che fino al 1985 segnava il bordo del ghiacciaio ormai in ritirata e poi superiamo un gradone con il sentiero che sembra percorrere il dorso di un enorme stegosauro pietrificato. Creste affilate piantate come enormi scaglie oblique si alternano a rocce straordinariamente lisce e con dei colori vivissimi.

 

Se fino a quel momento avevamo avuto tempo di parlare di donne e meditazione tibetana (solo chi respira troppo ossigeno in quota potrà capire…), ora, su queste rocce rossastre, i discorsi decollano e volano alto. Non è un “banale” paesaggio lunare, pietroso e completamente privo di vegetazione. La sensazione è di essere su Marte, perché le rocce hanno una gamma di colori pazzeschi che variano dall’arancione chiaro, al rosso ruggine (il contenuto di ferro su queste metamorfiche deve essere esagerato), al bruno intenso quasi nero. Qua e là, blocchi quarziferi più piccoli punteggiano rocce che sembrano bruciate dal fuoco; venature grigio/bianche sul fondo, da cui emergono come gobbe lisce e lucide su un dorso di un gigantesco animale, massi multicolori che sembrano una corazza metallica arrugginita. Unica nota “stonata” rispetto a Marte, pozzanghere di acqua di fusione verdeazzurre e la presenza della grande lingua di ghiaccio della Vedretta Alta che percorreremo legati, picozza in mano e ramponi ai piedi.

 


 

Qui incontriamo affaccendati tra corde, nodi e ramponi, un gruppo di escursionisti tedeschi di Colonia che eseguono puntigliosi manovre da manuale di alpinismo anche quando procedono allineati ordinatamente. Noi, più sciolti e veloci, li superiamo agilmente ma dovendoci spostare per aggirare i crepacci più grandi, finiamo su un dente di sfasciumi su fondo ghiacciato che ci fa dannare l’anima prima di ritrovare la retta via. D’altronde il mio compagno che fa da capo cordata, si chiama Szgrebeny di cognome e chi conosce il dialetto trentino avrà colto un'interessante assonanza tra i suoi tipici tragitti e il suono del suo cognome.

 

Il tempo è cambiato: tira aria gelida e ci ricordiamo di non avere i preziosi guanti. Le dita delle mani sono freddissime. Siamo ormai attorno ai 3000 m. e una fame assassina taglia le gambe soprattutto al sottoscritto in “onore” al cognome che porto. Avanzo arrancando respirando corto e con l’aria che mi raschia gola e polmoni. Nuvolaglie grigie e basse nascondo ormai le vette dei monti attorno. Più lontano piove a dirotto in almeno due direzioni. Raggiungiamo prima l’anticima e di lì a poco, a 5 ore dalla partenza, la prima delle 4 cime che avevamo in programma.

 


 

Preoccupati per il meteo, diventiamo improvvisamente saggi. La cordata dei tedeschi, toccata la cima, ripiega velocemente verso valle. Noi non ce la sentiamo di affrontare creste affilate su sfasciumi mobili con l’ansia di essere sorpresi dall’acqua. Santiando e divorando panini come se non ci fosse un domani, decidiamo di battere in ritirata ripercorrendo la contrario la via della salita. Sul ghiaccio della vedretta solcata da fenditure ricolme di acqua turchese incrociamo una coppia di giovani altoatesini assistiti da una pimpante suocera, che a quell’ora (sono le 14) pensa di fare il nostro stesso itinerario. Le nubi minacciose, ma che ancora non si decidono di scaricare, non fanno desistere questo terzetto che prosegue verso Cima Marmotta.

 

A questo punto, invidiosi e malevoli, speriamo che inizi a piovere per non avere rimpianti dovuti alla rinuncia delle 3 Cime Venezia: “muoia Sansone e tutti i Filistei” e quindi che gli altoatesini tornino bagnati fino all’osso, loro che sono partiti dal parcheggio fuori “tempo massimo”, secondo i dettami di metereologi e alpinisti old style! Niente da fare: più scendiamo verso i rifugi e più il cielo si squarcia di un azzurro beffardo, alla faccia delle nostre preghiere di scrosci d’acqua. Sì, non è elegante augurare il maltempo agli altri, ma speriamo che abbiamo, almeno loro, potuto compiere questo bellissimo anello. La rinuncia al giro completo ci brucia e ci costringerà a ripensare un’altra volta a questa escursione che “caldamente” consigliamo a tutti, pur se ben attrezzati e allenati. E comunque vadano le cose non ci si perda lo strudel al papavero del Rifugio Nino Corsi!

 


 

Per chi volesse saperne di più, ecco le indicazioni tratte dal sito www.sentres.com/it/alta-montagna/trekking-alla-cima-venezia

 

 


 

 

ITINERARIO

In Val Venosta, da Coldrano – Goldrain si percorre l’intera Val Martello fino all’ultimo parcheggio (2050 m, alberghi).

 

Sul sentiero 150 si passa al rifugio Zufallhütte-Nino Corsi (2265 m, mezz’ora buona). Si continua toccando l’antica diga in pietra; al bivio si svolta a sinistra sul sentiero 103, che porta al rifugio Marteller Hütte-Martello (2610 m; ore 2 dal parcheggio).

 

Proseguendo si costeggia il laghetto, ed al bivio si gira a sinistra sul sentiero 27 (indicazione «Veneziaspitze»), risalendo la morena ed il ghiaione guidati da ometti di pietre, fino a rocce levigate e blocchi ed allo Hohenferner (Vedretta Alta).

 

Sul ghiacciaio con pochi crepacci, seguendo le tracce, si ascende alla cresta sovrastante, e su di essa verso sinistra (est) si giunge in breve alla Cima Marmotta (Köllkuppe, 3330 m; ore 3.00 dal rifugio Martello).

 

Sulla cresta affilata ed aerea, con qualche passaggio di 1° grado, con saliscendi ad una forcella (3300 m), si prosegue verso est su macigni e roccette con altra corta arrampicata di 2° grado, e si conquista la principale Cima Venezia (3386 m, mezz’ora da Cima Marmotta). Discesa proposta verso est, senza punti critici: si scende alla forcella intermedia per passare alla Seconda Cima (3371 m); dopo altra forcella si guadagna la Terza Cima (3356 m).

 

Ci si cala facilmente fra i massi alla sottostante sella (3300 m circa) e verso nord al ghiacciaio non molto inclinato, facendo attenzione a qualche crepaccio eventualmente celato da neve.

 

Arrivati al margine inferiore della vedretta, seguendo gli ometti di pietre si scende fino al sentiero 37A. Su quello si procede verso sinistra sulla morena; al bivio successivo si gira a destra, abbassandosi per trovare il sentiero 40, che per bosco riporta al punto di partenza.

 

INIZIO E ARRIVO DELL'ITINERARIO

Alla fine della Val Martello - trattoria Enzianhütte

 

SPECIFICAZIONE

Nessuna particolare difficoltà per esperti su ghiaccio, fino alla Cima Marmotta. Sulla cresta successiva occorrono assenza di vertigini e buona esperienza su roccia (brevi arrampicate di 1° e 2° grado). Sulle vedrette attenzione ad eventuali crepacci

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