Malga Todes-ci, Vajo dell'Orsa e Colbricon Piccolo: tre itinerari di ''non'' mezza stagione
Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia.
Non sono scomparso sotto una valanga in questa strana primavera! Ho arrancato, come sempre, nelle più svariate situazioni, e sempre in ottima compagnia. Anzi, nel brevissimo passaggio da un inverno che sembrava non volesse finire mai, ed un’estate dirompente ed anticipata, ho cercato soluzioni di escursioni che sfruttassero al meglio il meteo con “gitarelle” alla portata di tutti e da intraprendere con varie modalità: dallo scialpinismo alle ciaspole all’arrampicata in falesia, dal trekking alla ferrata. Di seguito alcune proposte che magari, proprio per la brevità di questa primavera potrebbero sembrare “superate”, ma che si possono tenere a mente per le prossime stagioni interemedie.
MALGA TODES-CI - CIME DI VIGO (VAL DI NON)
Il Corno di Tres di m 1812 è tra le mete più frequentate in questa parte della Val di Non (la parte meridionale della Catena della Mendola) dove si elevano le Cime di Vigo. La zona è quella della Predaia, raggiungibile da Trento in poche decine di minuti, quando, prima di Dimaro, si svolta a destra seguendo la segnaletica. L’itinerario è generalmente sicuro da valanghe anche dopo copiose nevicate, ed è una gita ideale da fare in ciaspole. In questi giorni, con le condizioni della neve che cambiano di giorno in giorni, sicuramente il manto bianco sarà scomparso, ma nulla toglie alla bellezza di queste passeggiate. Si può partire tranquillamente dalla Malga Todes-ci (fate esercizi di pronuncia...), che utilizzeremo per riempirci la panza al rientro dai vari anelli che si possono percorrere sia verso Nord che verso Sud.
Con una comoda carrareccia si raggiunge in una ventina di minuti l’agritur Rodeza (che offre notevoli piatti, dolci e grappe) e lì, al pari della roulette, potete scegliere a caso un itinerario che vi porti verso la montagna che vi sta di fronte (Sella di Roccia Larga, Cima Roccia Larga, Corno di Tres...). Una volta giunti alla cima in meno di un’ora, la vista potrà spaziare dalla sottostante Val d’Adige, al Gruppo del Brenta, alle Maddalene, mentre a Est con le belle giornate, lo sguardo arriva fino al Monte Pelmo. Pensierino per l’estate: percorrere la traversata che dal Burrone Giovanelli (sopra Mezzocorona), raggiunge Malga Kraun, Favogna ( dove trascorrere una notte magari in tendina), e il giorno dopo arrivare al Corno di Tres e al Monte Roen (percorrendo anche l’omonima ferrata dopo essersi riposati al Rifugio Oltradige).
VAJO DELL’ORSA (MADONNA DELLA CORONA)
Per trovare frescura e pentimento per i peccati commessi da me e dal fido Nick Ravannah, consiglierei una visita fino alla Scala Santa del Santuario della Corona sopra a Brentino Belluno (in Valle dell’Adige in provincia di Verona pochi chilometri a sud di Serravalle di Ala), redimersi fino allo sfinimento e quindi scendere al bivio per il Vajo dell’Orsa (che non c’entra una mazza con i “vai” delle Piccole Dolomiti o della Lessinia), meta di molti seguaci del canyoning o dei trails montani.
Il percorso inizia tornando dal Santuario (poche centinaia di metri) per svoltare a sinistra e percorrere la lunga traversa boscosa che scende lentamente fino al corso d’acqua. Qui si possono immergere le sacre terga riscaldate, oppure i piedi. Cosa che sicuramente vi capiterà appena vi renderete conto che per attraversare il rivo dovrete aggrapparvi alla fune metallica poco sopra l’acqua: o saltate come cavallette tra un masso bagnato e l’altro oppure vi aggrappate siccome scimmie alla fune e vi trascinate fino all’altra parte della sponda recitando il mantra del Sutra del Cuore “Gate, gate, paragate, paramsagate bodhi svaha”, celebre testo del canone buddhista, molto diffuso e apprezzato nei Paesi di tradizione Mahāyāna per la sua brevità e intensità di significato. “Andato, andato, andato all’altra riva ed approdato all’altra riva. Il Risveglio avvenga”.
Da lì, dopo esservi asciugati si risale brevemente la riva e si percorre un lungo sentiero nel bosco in luoghi dimenticati da Dio dapprima in piano e poi in perfida discesa fino all’abitato di Brentino Belluno.
COLBRICON PICCOLO
Uno dei posti più belli che abbia mai visto. Una dorsale ondulata e fino a poco tempo fa (tre settimane) ricoperta di neve tanto da sembrare il Sahara tinto di bianco. A dire il vero la meta finale doveva essere il Colbricon Grande, ma la grande quantità di neve che ci avrebbe accolti pericolosamente incombente sull’ultimo tratto, quando bisogna procedere di picozza e ramponi, ci ha portato a più miti consigli, optando per il fratello minore, ovvero il Colbricon Piccolo (2511 m), il quale, per quanto riguarda la bellezza del paesaggio, non teme rivali.
Come sempre mi accompagna il mio grande amico antropologo Nick Ravannah: io con sci e pelli e lui con le fide ciaspole artigliate. La giornata è splendida e in assoluto relax raggiungiamo Predazzo, per poi risalire la strada di Bellamonte verso il Passo Rolle. Questa volta non ci perdiamo e lasciamo la vecchia Rifattona al parcheggio situato 1,5 km dopo il Centro Visitatori del Parco di Paneveggio. Calzati sci o ciaspole o scarponi se la neve è ormai scomparsa, si imbocca la strada forestale che sta di fronte e, immersi nei suoni magici del legno degli abeti rossi detti “di risonanza”, che dai tempi di Stradivari forniscono il legno per le casse armoniche di violini, viole ma anche pianoforti, per una buona mezzora si resta ammaliati dalla perfezione di questi maestosi alberi fino alla Malga Colbricon, posta in una soleggiata radura.
Da architetto inoltre, non posso non ricordarmi di come Venezia stessa , città che amo per la mia permanenza negli anni universitari, fosse stata costruita su una moltitudine di palafitte costituite dagli alberi di questa foresta che per secoli venne gestita dalla Serenissima. In pratica quasi tutte le fondamenta veneziane hanno origine da Paneveggio. Dalla Malga Colbricon si risale per una fradicissima costa mista di radi alberi, roccette, dossi e vallette dominati dalla Cima Stradon (2328m), per uscire infine su una specie di altipiano leggermente pendende e dolcemente ondulato che, se ricoperto di neve, nella sua omogeneità ricorda le dune sahariane. Nick prosegue diritto come un fuso grazie alle ciaspole, mentre io, tramite gigantesche zeta mi allontano e mi avvicino canticchiando come un mantra un vecchio pezzo di Lucio Battisti (“.......ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini...”) che mi pare fosse “La collina dei ciliegi”.
La salita sembra non finire mai ma quello che i miei occhi vedono intorno, mi fa pensare di non essere mai stato in un posto così bello, con le ultime pendici del Lagorai sulla destra e le maestose Pale di San Martino sulla sinistra. Arrivati all’ometto finale, fremo dalla voglia di scendere su quella “polvere” (il powder o firn che si voglia dire...) che fino a 20 giorni fa era reale e pronta ad essere violata dai rari escursionisti. Ravannah prova una sana invidia per la mia goduriosa discesa con gli sci, ma con le sue ciaspole si consola, andando a a sfiorare le pericolose cornici che fronteggiano in primo piano il Grande Colbricon e più indietro le Pale. Un paio d’ore di emozioni intense in discesa, fagocitati dalle onde bianche prima e dalla foresta di risonanza dopo, ci ripagano di una fatica abbastanza intensa dovuta ad una neve che in basso risulta essere molto bagnata e pesante. Torniamo con il sole ancora alto, assetati come lupi nel deserto. Inizia la caccia ai Grandi Boccali di Birra di Frumento Possibilmente Non Filtrata, e quando li troviamo, non ce n’è più per nessuno! Prosit!