La tomba diventa un'estensione dell'abitazione quotidiana: gli etruschi e le necropoli, la città analoga
Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia.
La morte è tornata prepotentemente nella nostra quotidianità, con la pandemia abbiamo la possibilità di ripensare alla sua dimensione collettiva (Qui puntata 1 - Qui puntata 2 - Qui puntata 3 - Qui puntata 4).
I luoghi sepolcrali etruschi erano sempre all’esterno delle città e si presentavano come una vera e propria città dei morti, distinta e giustapposta a quella dei vivi come ad esempio a Cerveteri, dove la necropoli della Banditaccia si trova al di là di un margine naturale, configurandosi come una città parallela e analoga.
Esistevano due tipi di necropoli, a volte mescolati tra loro: quella a tumuli, che seguiva il modello della città fino al punto di ordinare le costruzioni secondo un preciso “piano urbanistico”, e quella scavata nella roccia (tufo), nei cui spessori si trovavano tombe e ipogei.
Gli ipogei etruschi erano forniti di uno stretto ingresso accuratamento nascosto: la stanza principale era larga 7-8 metri e alta 2, e spesso il soffitto imitava un tetto a doppio spiovente con le finte travi anch’esse scolpite nella roccia. Quadri policromi dipinti sui muri davano l’illusione della stoffa. Anche le abitazioni dei morti, nel loro impianto, ricalcavano dunque per analogia quelle dei vivi, così come pure le decorazioni architettoniche delle facciate.
Altra caratteristica è che questi spazi per i morti, analogamente alle celle segrete e sotterranee degli Egiziani, erano “abitati” solo dai defunti e normalmente l’ingresso ai vivi era negato. All’interno erano presenti quegli strumenti di vita, quei cibi e quelle decorazioni in funzione esclusivamente del morto che “viveva” la sua nuova condizione esistenziale.
Gli Etruschi portarono ad estreme conseguenze l’idea della tomba come prolungamento dell’abitazione quotidiana, con l’uso di riunire nel sepolcro tutti gli appartenenti allo stesso clan.
Dal coperchio del sarcofago, il defunto a grandezza naturale sembrava guardare benevolmente le donne sedute dignitosamente sulle proprie tombe: dei sedili scolpiti nella roccia, a volte su più file, sembravano attendere dei visitatori, senza dubbio quei parenti lontani o quei liberti le cui ceneri venivano raccolte nelle urne collocate entro nicchie.
Gli Etruschi hanno conosciuto e praticato dapprima l’incenerizione e successivamente la tumulazione, ma l’incenerizione rimase in uso presso le classi più povere, schiavi e liberti.
All’esterno di queste tombe, sui lati delle strade delle necropoli si usava porre una serie di “casette” e di simboli fallici (colonnine) in pietra, che recavano incisi in caratteri etruschi e latini i nomi dei defunti. Questi segnacoli venivano usati per distinguere il sesso del defunto che occupava la tomba e il numero degli occupanti: la casetta indicava la donna, la colonnina l’uomo.
Lou Arranca e Maurizio Martinelli