La conquista dell’inutile labirinto sul lago fantasma di Carezza
Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia.
"Ciao. E’ ormai pomeriggio inoltrato e vi sto scrivendo, ormai arreso alla sorte beffarda, dal Labirinto del Latemar. Con noi, altri fantasmi continuano a girare come zombies che appaiono e scompaiono attorno al lago fantasma di Carezza, quello superiore, ormai prosciugato e trasformato in meno di una torbiera: una piana sabbiosa con rade erbacce dove ci aggiriamo cercando una via d’uscita dal labirinto...".
Questo era l’incipit dell’articolo per oggi, ma poi, una gloriosa intuizione avuta nel mio trentennale anniversario di laurea in architettura, ha risolto una giornata che stava per tramutarsi in ridicola tragedia.
Ma procediamo con ordine. Stavolta, oltre a me, al meditamondo buddhista Max Szgrebeny con la sua muscolosissima cagna Lucky la Pelosa e all’antropologo Gran Viaggione Nick Ravannah, si è una unita (incurante del pericolo derivante dalla nostra frequentazione) la gioiosa Sistah Terry Jahrina.
Meta di oggi, il Labirinto del Latemar con partenza dal Passo di Costalunga: un’escursione semplice di nemmeno 10 chilometri, con poche centinaia di metri di dislivello, adatto pure ai bambini e alla mia caviglia malandata dalle precedenti uscite austriache.
Tutto inizia bene. Il percorso si sviluppa praticamente in piano nella foresta del Latemar, considerata una delle più belle foreste di abete rosso delle Alpi Orientali, con alberi maestosi e colonnari, noto per il cosiddetto 'legno di risonanza' con cui si costruiscono gli strumenti ad arco.
Dopo un’ ora di comoda passeggiata nel bosco, si sbuca in alto alla fine della vegetazione, attraversando canaloni detritici. I sempre più radi larici si infiammano al baluginare del sole in un sinistro lucore e più avanti giganteschi massi precipitati dai campanili del Latemar rendono difficoltoso il cammino. Inizia il Labirinto!
“O voi mortali che in questo periglioso loco vi state addentrando...”. Nick Ravannah ci guida scoccando frecce velenose contro il genere femminile; la gioiosa Sistah Jahrina risponde con silenzi assordanti; il buddhista Max Szgrebeny, ovviamente medita (forse una vendetta..) e io...arranco.
Seguiamo labili tracce colorate di bianco e rosso, le frecce si contraddicono, Max (ecco la sua vendetta) passa alla guida e dopo mezzora di ravanaggio tra massi inquietanti, passaggi stretti come fessure, visioni apocalittiche sul Catinaccio, Roda di vael e Cresta di Masarè sul versante opposto, ci rendiamo conto che stiamo percorrendo lo stesso sentiero a ritroso. Nick insulta Max per il suo scarso senso di orientamento, Terry è allibita e li osserva sospettosa, mentre io mi massaggio nervosamente la caviglia.
Controlliamo la mappa, ripercorriamo gli stessi passi alla ricerca di una via di uscita, ma incontrare altri sventurati escursionisti che provengono da ogni direzione non ci fa affatto bene.
Passa il tempo: ci consoliamo scattando foto ai panorami circostanti creati da un demone amante delle tonalità infernali, che pare abbia gettato tizzoni ardenti tra le rocce franate.
La fame si fa sentire e ci accorgiamo che il tempo è passato rapidissimo. Raggiungiamo fortunatamente quella che sembra essere una radura sabbiosa (?) e ci rendiamo conto di essere nella sede dell’antico lago superiore di Carezza, ormai prosciugato e sinistramente affascinante.
Arroccati su un masso affiorante dalla rada steppa, mangiamo qualcosa di solido e subito una coppia di anziani turisti ci chiede che direzione devono prendere per il Labirinto. Rispondo che ci sono già arrivati al Labirinto e indico loro la direzione dalla quale noi siamo arrivati.
Passano 10 minuti e la stessa coppia ricompare dall’altra parte del Lago, affranta. Prosegue in direzione opposta e dopo altri 10 minuti si ritrova al centro della radura, ormai smarrita. Nel frattempo arrivano altri escursionisti che trascinandosi stancamente si aggirano come zombies cercando una via di uscita. Scompaiono e ricompaiono a distanza di mezzora. E’ in quel momento che decido di lasciare le mie memorie ai posteri.
Rifocillati, tentiamo una sortita prendendo una direzione a caso e in quel momento commetto un errore da neofiti: mi dimentico di passare i lacci degli scarponi alti nei ganci metallici del collo del piede, con il risultato che le asole maligne si agganciano ai suddetti ganci, facendomi precipitare, in guisa di sacco di patate, a terra! Per fortuna cado nel fango morbido e, vergognandomi come un ladro, mi rialzo balbettando scuse puerili! Fosse successo in alto su una cengia a precipizio, poteva andarmi veramente male.
I tre compagni fingono preoccupazione, Lucky mi consola leccandomi la faccia.
Ormai siamo nelle ore pomeridiane: stiamo vagando da ore in questo Labirinto guardando con desiderio le vette circostanti. Ravaniano nell’Inutile!
Ma poi, l’illuminazione! Osservo le paline delle tabelle di indicazione dei sentieri che si incrociano numerosi e noto con sottile soddisfazione mista a orrore, che le direzioni che danno sono obbligate dal fatto che le paline sono a sezione quadrata e quindi non danno mai la giusta direzione nel dedalo di sentieri.
Svelato l’arcano: ecco perchè si chiama Labirinto del Latemar! Le direzioni indicate sono farlocche!
Abbracci, promesse di amicizia eterna, riconoscenza e devozione. Vivo il mio momento di gloria!
Ora è 'tutta discesa', anche se per sfuggire al Labirinto ci dobbiamo inerpicare per qualche centinaio di metri per sentieri seprentiformi in direzione del monte Pope che incombe sopra le nostre teste.
Usciamo dal bosco, passiamo vicino a curiosi 'osservatori' con tanto di sedili tipo cinema e cornice a forma di smartphone per osservare lo spettacolo del Catinaccio che abbiamo di fronte. Dopo circa un’altra mezzora di tornanti sassosi, e accenni di arrampicata decidiamo di fermarci al Pulpito a 2.328 metri. Si tratta di un terrazzino sopra ad una guglia, dal quale si gode un panorama fantastico e che merita numerosi scatti fotografici. Purtroppo però, tira un vento gelido e il sole sta calando: meglio tornare sui nostri passi.
La via del ritorno è il classico 'drittone' percorrendo prima i ghiaioso sentiero della salita avvolti nelle nostre 'ventine' e poi lungo la pista da sci che, dritto come un fuso, finisce davanti alle ruote della mia fedele Rifattona nipponica.
Pericolo scampato e quindi meritate birre con considerazioni sull’inutililtà dell’Alpinismo (“se è vero che la conquista dell’inutile come essenza dell’alpinismo non è certo un concetto nuovo, è bene ogni tanto che gli alpinisti se ne ricordino”) e alta dichiarazione dell’ antropologo Gran Viaggione Nick Ravannah: "All’inizio dei Tempi, davanti a questi spettacoli della Natura, 2 weizen a testa avrebbero evitato la nascita delle Religioni e le loro guerre”.
Una pietra tombale che chiude ogni altro discorso.
Per chi volesse notizie più serie sul percorso e la variante seguita, consiglio i seguenti link (ma digitando il nome se ne trovano moltissimi):
https://www.altoadige-suedtirol.it/itinerari/piedi/labirinto_latemar.php
https://www.sentres.com/it/...in.../escursione-per-il-labyrinthsteig-il-sentiero-labirinto
https://www.gambeinspalla.org/gruppi_montuosi/dolomiti/latemar/il_labirinto_del_latemar.htm