La coesistenza dei vivi e dei morti, dopo un periodo ''anonimo'' la tomba ritorna con le epigrafi per un nuovo bisogno di affermazione della propria identità
Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia.
La compresenza di vivi e di morti nelle città, fatto normale fino al momento dell’espulsione dalla cinta muraria, fu evidentemente qualcosa di più di un semplice fatto organizzativo o di abitudine. La cristianizzazione della società, mentre da una parte tentò inutilmente di annullare alcune pratiche pagane superstiti, dall’altra, con l’idea della Resurrezione della carne, incentivò la conservazione dei corpi ed il loro accumulo nei sotterranei delle chiese o nelle loro immediate vicinanze, così da costituire nelle città una sorta di rete policentrica di stazioni mortuarie.
Una presenza disseminata e frequente, visibile ad ogni angolo e spesso imbarazzante per gli effetti nocivi sulla situazione igienica urbana e la salute pubblica. Al tempo stesso però, si perpetuò l’idea di una sacra comunità fondata sulla compresenza quotidiana di vivi e di morti che fece della chiesa, proprio come scrigno privilegiato della conservazione della carne, il centro di una continuità della storia della città, ratificata dalle spoglie di quanti in essa vissero ed operarono.
Questo fenomeno della coesistenza fu dunque conosciuto nella antichità pagana come in quella cristiana. Eppure ci divenne del tutto estraneo a partire dalla fine del XVIII secolo.
Ma procediamo con ordine.
LA TOMBA DIVENTA ANONIMA
In un cimitero antico, pagano o cristiano, la tomba era un oggetto destinato ad indicare sia il luogo esatto in cui il corpo era stato deposto, sia il contenitore del corpo o delle ceneri (sarcofago), sia l’edificio che sorgeva sull’eventuale sala dove erano conservati i corpi (mausoleo).
La tomba visibile inoltre doveva dare le generalità del defunto e richiamarne l’immagine fisica. In questo modo veniva indicato esattamente anche il luogo per il culto funerario poiché il fine della tomba era di trasmettere alle generazioni successive il ricordo del defunto. Di qui il suo nome di “monumento” (memoria).
Molte misere sepolture erano però senza né iscrizioni, né effigi, come ad esempio le urne interrate al cimitero dell’Isola Sacra alle Bocche del Tevere, e questo anonimato era considerato la vera morte completa e definitiva.
Tutti, ad ogni modo, cercavano di sfuggire all’oblio: nelle catacombe gli umili loculi destinati a ricevere i corpi, erano chiusi da lapidi che spesso avevano delle brevi iscrizioni o qualche simbolo di immortalità.
Dal V secolo in poi, questa unità tra la tomba visibile, il luogo dove il corpo era stato deposto e la volontà di delineare con una iscrizione o con un ritratto la personalità del defunto, si spezzò. Le iscrizioni e i ritratti scomparvero e le tombe divennero anonime.
Pur ammettendo un regresso della scrittura in questo periodo (non c’era quasi più nessuno che sapesse incidere o leggere), è degno di nota che questo anonimato delle sepolture sia perdurato fin quasi il XII secolo, quando la scrittura epigrafica aveva acquistato un peso non trascurabile.
Verso l’anno 1000 la tomba perse così la sua funzione escatologica a beneficio della sepoltura “ad sanctos”. Non fu più necessario, nè per la salvezza del morto, né per la pace di chi resta, che il corpo ed il suo involucro fossero pubblicamente esposti, personalizzati e localizzati con esattezza.
IL RITORNO DELL’EPIGRAFIA FUNERARIA
A dir la verità, durante l’alto Medioevo l’identificazione delle sepolture e la commemorazione dei defunti non scomparvero così totalmente. Ci furono le eccezioni dei santi e dei grandi uomini degni di venerazione: le loro tombe erano per lo più sarcofagi di pietra con o senza iscrizioni in quanto la pubblica notorietà del soggetto o l’iconografia tenevano luogo di identificazione.
A partire dalla fine del XI secolo, un fenomeno degno di considerazione e significato consistette nel generale ritorno dell’iscrizione funeraria che coincise con la sparizione del sarcofago anonimo e la sua sostituzione con la bara di piombo o del semplice seppellimento del corpo avvolto in un sudario.
Il proposito commemorativo si estese dai grandi personaggi ai comuni mortali, i quali molto discretamente e molto progressivamente, cercarono di uscire la loro anonimato pur rifuggendo da una certa soglia di ostentazione il cui limite variò a seconda delle epoche.
I primi epitaffi medioevali manifestarono un bisogno nuovo di affermazione della propria identità nella morte, tendenza quasi coeva allo sviluppo dell’iconografia del Giudizio Finale e dell’obbligo religioso di fare testamento.
In pochi secoli si passò dal silenzio anonimo ad una retorica biografica precisa, talvolta copiosa e ridondante, dalla breve notizia di stato civile alla storia di una vita, da una discreta identificazione del personaggio, all’espressione di una solidarietà familiare.
Comparve di nuovo anche l’effigie che tuttavia non fu veramente un ritratto. Solo più avanti, nel XIV secolo, divenne mano a mano più realistica fino a riprodurre la maschera presa sul volto del defunto.
Lou Arranca e Maurizio Martinelli
Al prossimo appuntamento: “Il cimitero e la tomba medioevale”