Dal giudizio universale all'arte del ben morire, il passaggio dalla vecchia idea del destino collettivo alla preoccupazione per la particolarità di ogni individuo
Rapito dalla Montagna anni fa, pratica escursionismo, percorre vie ferrate e frequenta qualche falesia e palestra di roccia.
La familiarità tradizionale con la morte, intesa come accettazione dell’ordine naturale, implicava una concezione collettiva del destino. L’uomo subiva con la morte una delle grandi leggi della specie.
Nacquero in quel periodo (XI - XII secolo) una serie di fenomeni nuovi che avrebbero introdotto all’interno della vecchia idea del destino collettivo, la preoccupazione per la particolarità di ogni individuo.
Durante la seconda metà del Medioevo, è avvenuto un riavvicinamento tra 3 categorie di rappresentazioni mentali: quella della morte, quella della conoscenza da parte di ciascuno della propria biografia e quella dell’amore appassionato per le cose e per gli esseri posseduti durante la vita. La morte è diventata il luogo in cui l’uomo ha preso meglio coscienza di sé stesso.
La rappresentazione del Giudizio Universale
All’inizio non c’era nè giudizio nè dannazione. I morti appartenevano alla Chiesa alla quale erano stati affidati i loro corpi. Non c’era posto, in questa concezione per una responsabilità individuale, per un bilancio delle cattive e delle buone azioni.
Nel secolo XII la scena cambiò: si introdusse nell’iconografia la separazione tra i Giusti e i Dannati: il Giudizio.
Nel XIII secolo l’idea del Giudizio divenne predominante: ogni uomo è giudicato secondo le sue buone e cattive azioni. Questo bilancio non veniva fatto al momento della morte, ma all’Ultimo Giorno mettendo in risalto in questo modo il rifiuto di assimilare la fine dell’essere alla dissoluzione fisica. L’idea del Giudizio Universale divenne quindi legata alla biografia individuale.
Le Artes Moriendi (XV e XVI secolo)
Dio e la sua Corte erano nella camera del moribondo per constatare come questo si sarebbe comportato durante la prova proposta prima di esalare l’ultimo respiro e che avrebbe determinato la sua sorte nell’eternità: il suo atteggiamento avrebbe cancellato tutti i suoi peccati o annullato tutte le buone azioni.
L’Ultima Prova sostituì il Giudizio Finale: da un rito collettivo si passò all’inquietudine di un interrogativo personale; dal Grande Giorno alla camera del moribondo nel momento della morte. Il rivedere il film della propria vita accentua il carattere drammatico della “propria morte”.
Questa evoluzione rafforzò il ruolo del moribondo stesso nelle cerimonie della propria morte: era sempre al centro dell’azione, come una volta, ma con la possibilità di determinarla con la propria volontà.
All’iconografia del Giudizio Finale, nel 1400 si sostituì una nuova iconografia in xilografie diffuse attraverso la stampa, in quei libri che costituirono dei trattati sull’Arte del Ben Morire: le Artes Moriendi. Ogni pagina di testo era illustrata da un’immagine affinché i laici, che non sapevano leggere, potessero cogliere il senso altrettanto bene che i letterati (uomini di Chiesa o di Ordini Monastici).
L’iconografia delle Artes Moriendi riunì nella medesima scena la sicurezza del rito collettivo (rappresentazione tradizionale dell morte nel proprio letto) e l’inquitudine dell’interrogativo personale (il giudizio individuale della propria vita), in un rapporto sempre più stretto tra la morte e la biografia di ogni singola vita.
Lou Arranca e Maurizio Martinelli
Al prossimo appuntamento: “La sensibilità macabra”