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Coronavirus, tanti dei nostri anziani ci stanno lasciando. Le loro voci non si sentiranno più. La loro esperienza non sarà più condivisa, se non attraverso figli o nipoti

In questi giorni mi è tornata alla mente una storiella che mi raccontava mia mamma. Il protagonista era un signore che era solito, al bar del paese, soffermarsi sui necrologi. Leggeva tutti i nomi dei defunti e poi sospirava: "Anche oggi io non ci sono". Quando ero bambina questo racconto mi faceva sorridere. Oggi non più. Forse perché mi sento un po' come quel signore
DAL BLOG
Di Idil Boscia - 20 aprile 2020

Amo raccontare frammenti di vita e tutto ciò che lascia un segno

In questi giorni mi è tornata alla mente una storiella che mi raccontava mia mamma. In dialetto napoletano. Il protagonista era un signore che era solito, al bar del paese, soffermarsi sui necrologi. Leggeva tutti i nomi dei defunti e poi sospirava: "Anche oggi io non ci sono". E così tutti i giorni per tanti anni. Finché, una mattina, gli amici dell'uomo, leggendo il quotidiano, commentarono: "Ma guarda un po', proprio oggi che è sul giornale, non è qui a leggerlo".

 

Quando ero bambina questo racconto mi faceva sorridere. Oggi non più. Forse perché mi sento un po' come quel signore. Leggo il giornale con i numeri dei morti per coronavirus. Spero di non trovare i nomi di qualcuno che conosco. Mi auguro che, davvero, vada tutto bene. Per il numero maggiore di persone. 

 

Tanti dei nostri anziani ci stanno lasciando. Le loro voci non si sentiranno più. La loro esperienza non sarà più condivisa, se non attraverso figli o nipoti. Se c'è stato un dialogo. 

 

Ricordo, tanti anni fa, alcuni mesi prima che mia madre morisse, che un ricercatore dell'università di Trento mi chiese se avessi tenuto delle memorie dei miei genitori. Ogni tanto ci ripenso. No, non lo avevo fatto. La guerra, l'arrivo degli americani, i nonni che lavoravano le campagne. Forse adesso qualcosa sarebbe più chiara. Come, ad esempio, che quello che stiamo vivendo niente ha a che fare con la guerra. Raffaele Crocco continua ad insegnarmelo. Grazie. 

 

Siamo isolati, questo sì. Ci sentiamo limitati. Qualcuno dice in gabbia. Qualcun altro lo rappresenta attraverso foto o disegni. In gabbia. Non saprei dire se la mia sofferenza è nella media. Se e quanto mi sento in gabbia. Forse perché ho un cucciolo di cane. Ma questo meriterebbe un altro pezzo. O perché ci sono un po' abituata, a stare in casa e non avere granché di relazioni sociali. E' da un anno e mezzo che la mia famiglia vive una situazione similare a questa. Con una quotidianità di attenzioni, gel, mascherine e solitudine. Dalla quale eravamo pronti ad uscire. Invece no. Ma le vere sbarre sono, forse, altre. 

 

Sembra ieri, quando le persone ci chiedevano perché avessimo la mascherina. O ti guardavano in modo interrogativo. Immaginando magari qualche scenario da serie tv. Eccoci oggi, invece, a proteggerci e a proteggere. Con in mezzo tutte le contraddizioni che ci fanno sentire frastornati. Dovremmo darci una bella scrollata. Come un cane dopo la pioggia. E tornare ad assaporare ciò che abbiamo. E, magari, a leggere i giornali. E a sorridere alla storiella di quel tale che cercava sul quotidiano il proprio necrologio.

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