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Coronavirus c'è chi parla di ''scuola reale'' ma questa è la realtà con cui dobbiamo fare i conti: stiamo uniti e cerchiamo di dare il massimo per i nostri studenti

Vogliamo una scuola reale. Così alcuni slogan. Ma cosa vuol dire? Una scuola non è reale se insegnanti e studenti indossano la mascherina? Se tengono le distanze? Questa è la realtà con cui dobbiamo fare i conti. E se la scuola c'è o no in questi mesi non è questione di distanze o mascherine
DAL BLOG
Di Idil Boscia - 01 dicembre 2020

Amo raccontare frammenti di vita e tutto ciò che lascia un segno

Credo di avere esaurito la moderazione. Non ce la faccio a rassegnarmi. Mi assilla una domanda: cos'è la scuola? Insegnare non è trasmettere conoscenze. Gli studenti non sono un contenitore da riempire. La scuola si basa sulle dinamiche relazionali. Anche l'apprendimento passa dalle relazioni. Solo parole. Condivisibili, certo. Ma lontane dalla realtà.

Vogliamo una scuola reale. Così alcuni slogan. Ma cosa vuol dire? Una scuola non è reale se insegnanti e studenti indossano la mascherina? Se tengono le distanze? Questa è la realtà con cui dobbiamo fare i conti. E se la scuola c'è o no in questi mesi non è questione di distanze o mascherine. È una scuola faticosa, certo. Piena di limiti. Ma la differenza la fanno le persone che la scuola la vivono. Tutte. La differenza la fa la capacità di non lasciarsi imbrigliare dalle fatiche della burocrazia. La fa il desiderio di andare oltre.

Ci siamo abituati a riempire la bocca di parole importanti. La scuola dell'inclusione. La didattica capovolta. La tecnologia al servizio degli alunni. Sono parole svuotate di senso. Siamo in balia delle decisioni rimandate. Dell'attesa che mamma Provincia si pronunci. Delle indicazioni dei sindacati. Si parla di dove mettere le ore, di cosa prevede il contratto, dei compiti dell'insegnante. E, in tutto questo parlare, i genitori diventano spesso insegnanti. I docenti si mettono la coscienza a posto inserendo argomenti e compiti sul registro. Gli alunni in quarantena o in isolamento sono abbandonati.

È un dato di fatto. La scuola è come una barca in tempesta, che gli insegnanti cercano di governare nel modo migliore. Ognuno per come crede. E non è lodevole. È sconcertante. Triste. Penoso. È una scuola - non scuola. Ho contribuito anch'io, nel mio piccolo, a questa situazione. Quando ho pensato che rispondere ad una email o correggere i compiti di un alunno in isolamento potesse bastare. Mi sbagliavo. Lo credevo finché non ho vissuto dall'interno la quarantena. Finché non ho toccato con mano che la solitudine ed il senso di abbandono sono la sofferenza più grande di questa situazione.

La scuola che non è unita (cosa, peraltro, sempre difficilissima) dà un pessimo insegnamento. Dà un'idea di sé sfalsata e lontana dal reale. Sarebbe meglio fare nel migliore dei modi quel poco che è possibile, invece di non provarci. Troviamo, insieme, la forza, di sfuggire alla burocrazia delle norme, della privacy, dei vincoli contrattuali. Ritroviamo il buon senso. Scomodiamo don Milani, lasciandoci solleticare dalle sue frasi. Ritroviamo la pienezza della parola inclusione. E della scuola.

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