La strage di Sant’Anna di Stazzema e l’eccidio di Malga Zonta. La necessità di allargare la nostra visuale
Vive da sempre in Trentino, si occupa professionalmente di storia, pratica sport di resistenza ed è appassionato (ancora) di politica...
All’alba del 12 agosto 1944, contemporaneamente all’eccidio di Malga Zonta, un battaglione delle SS della 16 Divisione Panzer-Grenadier eliminava fisicamente 394 persone. Luogo di questa strage è Sant’Anna di Stazzema, provincia di Lucca.
Tra le vittime, secondo le ricerche pubblicate nell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, si contano almeno 79 bambini (quindi dai 0 ai 12 anni di età). Vi è, ovviamente, una grande diversità in quanto accaduto in quel sabato di 74 anni fa: a Malga Zonta, al confine tra Trentino e Veneto, e in quel paese dell’Appennino tosco-emiliano, sopra la Versilia.
Non si tratta solamente di una questione quantitativa, di numeri, perché vi sono, in modo del tutto evidente, diversità nella modalità dell’azione nazista, di contesto e di tipologia delle vittime. A Malga Zonta, come noto, il gruppo di partigiani guidati da Bruno Viola, anche se solo alcuni di loro armati, combatterono per ore e in questo modo permisero ad altre formazioni partigiane di allontanarsi e di sfuggire al grande rastrellamento attuato dai tedeschi e denominato operazione “Belvedere”.
A Sant’Anna tutti coloro trovati sul posto, con poche eccezioni, vennero massacrati. E la strage, assolutamente premeditata, non fu in alcun modo preceduta da un fatto d’armi o da un tentativo di resistenza armata. Malga Zonta e Sant’Anna sono però accomunate da una contemporaneità molto significativa. Si collocano in quella che è stata definita “l’estate di sangue” del 1944.
Un’estate che si concluderà con la strage di Montesole tra il 29 settembre e il 5 ottobre e, se ci riferiamo alla nostra area alpina e prealpina. ai rastrellamenti del Monte Grappa.
Quest’estate fu molto importante per l’esito della seconda guerra mondiale e, nello specifico, per il fronte italiano. Il 4 giugno vi fu la liberazione di Roma e iniziò così il ripiegamento dell’esercito tedesco verso la linea Gotica.
Due giorni dopo lo sbarco degli alleati in Normandia apriva una fase nuova del conflitto. L’8 giugno il comandante delle truppe alleate in Italia, generale Harold Alexander, invitava le formazioni partigiane ad intensificare l’azione e a colpire i tedeschi in ritirata.
Sempre in quell’estate, e ciò vale anche per la Divisione garibaldina Garemi che operava tra Veneto e Trentino, vi fu un forte flusso di uomini che raggiungevano le montagne per unirsi ai partigiani. Da quel momento più decise ed efficaci furono le azioni militari della Resistenza e crebbe quindi la consapevolezza dei nazisti e dei loro alleati fascisti del carattere strategico della guerra alle bande, dell’azione repressiva, della necessità (è il caso dei valici appenninici così come delle vie di fuga e di rifornimento che attraversavano le Alpi) di mettere in sicurezza le vie che portavano in Germania.
Vi è poi, da non sottovalutare, la cosiddetta “crisi di crescita” delle formazioni partigiane, che portò anche conseguenze negative a livello di sostenibilità e nei rapporti con la popolazione civile. Il 18 giugno è il comandante in capo germanico in Italia, il Feldmaresciallo Albert Kesselring ad emanare un’ordinanza dove veniva stabilita formalmente la clausola di impunità per legittimare gli eccessi delle truppe tedesche contro le popolazioni inermi e contro i ribelli.
La strage di Sant’Anna apre una serie di azioni terroristiche da parte dei nazisti e dei fascisti. Basti ricordare i rastrellamenti e gli eccidi di Padule di Fucecchio, Bardine di San Terenzo e Valla, Vinca ed, infine, la strage di civili più grave e sconvolgente: quella di Marzabotto/Montesole.
Sono tutte operazioni “legittimate” perché programmate contro i partigiani, ma si configurano come azioni terroristiche di ripulitura del territorio, veri e propri massacri di tutti coloro che venivano trovati all’interno dell’area considerata da “bonificare”, a priori questi civili venivano considerati “partigiani”, il cui sterminio, anche se neonati o anziani infermi, era deciso prima della strage.
Il collegamento tra quelle stragi dell’estate 1944 permette, una volta in più, di non considerare in modo isolato l’eccidio di Malga Zonta. E’ questa la strada che ha permesso di attenuare le polemiche ed evitare strumentalizzazioni, garantendo una fondamentale capacità di lettura e di interpretazione storica.
Solo l’allargamento di visuale, tanto per capirci, ci ha fatto considerare la presenza degli autori della strage, di coloro che erano spariti dalla scena dopo aver fotografato gli uomini allineati lungo il muro della Malga. I nomi dei responsabili dell’esecuzione dei 14 partigiani e dei 3 civili appartenenti alla III Compagnia del Gruppo Bürger si erano infatti distinti militarmente per operazione di repressione contro i civili e i partigiani nell’Est europa e in altre regioni d’Italia. Altro che operazione invocata dalla popolazione locale per punire coloro che, una parte della popolazione locale, definiva “partiladri”. Siamo al dettato di Kesserling.
Sempre sulla via di un allargamento di visuale vi è anche l’idea, fortemente voluta dal Comune di Folgaria e dalla Provincia di Trento, di inserire Malga Zonta nella storia del secolo breve con l’istituzione e il rafforzamento del Parco della storia e della memoria. Un percorso che riesca a raccontare le vicende della Prima guerra mondiale, l’episodio di Malga Zonta e il complesso periodo della guerra fredda, quest’ultima grazie alle straordinarie opportunità offerte dal sito museale di “Base Tuono”.