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In Libano con i profughi siriani, con l’acqua sotto i piedi e il dolore di non aver detto addio a tua madre

Oggi B. ha una bellissima famiglia, sua moglie W. e quattro bambini, di cui uno purtroppo è morto ancora neonato, in Libano. A dicembre, purtroppo, è giunta dalla Siria la notizia che la mamma di B. è mancata. Quando B. è venuto a saperlo è diventato un’altra persona
DAL BLOG
Di Centro Astalli Trento - 04 maggio 2019

Per saperne di più su di noi, vienici a trovare nel nostro sito http://www.centroastallitrento.it/

di Angela Tognolini

 

Dallo scoppio della guerra in Siria centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sono fuggiti dai bombardamenti, dalla crudeltà dell’Isis, dal dittatore Assad che riconquistava lentamente le città e imponeva l’ordine con il terrore. Più di un milione di profughi siriani si sono riparati in Libano, ma il Libano non è un buon rifugio. Il paese è povero, non c’è abbastanza lavoro, il governo è alleato di Assad e cerca chi è fuggito per evitare la leva. I profughi vivono in campi sovraffollati oppure in edifici in costruzione senza acqua né luce.

 

Non c’è abbastanza da mangiare e se qualcuno si ammala non viene curato. I siriani rimasti in Libano sono tra le vittime più vulnerabili della guerra: famiglie con bambini piccoli, malati, anziani. Non possono proseguire la fuga per cercare una speranza altrove perché i loro famigliari non ce la farebbero. Anche per i profughi siriani intrappolati in Libano, però, c’è una speranza, per quanto flebile. Alcuni di loro, pochissimi purtroppo, possono accedere al programma dei Corridoi Umanitari e viaggiare legalmente verso l’Italia, dove troveranno accoglienza e una nuova vita. L’associazione Centro Astalli Trento ha avuto il privilegio di accogliere alcune di queste persone nel 2018 e nel 2019. Tre famiglie, legate da parentela, con i loro bambini.

 

Durante le prossime settimane, prima e dopo l’assemblea dei nostri soci che avrà come tema i Corridoi Umanitari, vi racconteremo le testimonianze di chi lavora con questo progetto. Le testimonianze degli operatori del Centro Astalli Trento che sono andati a prendere queste famiglie in Libano per portarle in Italia, e quelle dei volontari di Operazione Colomba che vivono in Libano ogni giorni, al fianco dei siriani che restano lì. La prima, è la testimonianza di Caterina Ferrù (Operazione Colomba), di cui pubblichiamo una versione ristretta. La sua testimonianza completa, insieme a molte altre, potete trovarla sul sito di Operazione Colomba.

 

LA TESTIMONIANZA

 

 

 

B. è una delle nuove anime del campo. A volte nel silenzio delle tende al mattino la sua voce tuona potente, passando accanto alla nostra tenda fa risuonare i nostri nomi, trascinandone la fine, come in un coro. B. non è mai andato a scuola, ha iniziato a lavorare a otto anni perché suo padre era morto e non voleva pesare su sua madre. Oggi ha una bellissima famiglia, sua moglie W. e quattro bambini, di cui uno purtroppo è morto ancora neonato, in Libano. Anche W. non ha potuto andare a scuola ma, con grande pazienza, la loro figlia più grande di dieci anni le ha insegnato a leggere. Quei bambini sono la gioia dei loro genitori e anche di noi volontari.

 

A dicembre, purtroppo, è giunta dalla Siria la notizia che la mamma di B. è mancata. Quando B. è venuto a saperlo è diventato un’altra persona. I suoi occhi sono diventati scavati, lo sguardo si è fatto cupo. Non è riuscito ad essere accanto alla sua mamma, non ha potuto darle un ultimo bacio sulla fronte, si sentiva intrappolato in questo paese che odia. Abbiamo passato i tre giorni di lutto insieme, nella loro tenda, bevendo il caffè amaro e per distendere l’atmosfera abbiamo giocato con la bimba più piccola, facendo volare un aeroplano di carta da un lato all’altro della stanza. Lei era felicissima e suo padre la guardava con occhi innamorati.

 

 

Qualche giorno dopo è arrivata una tempesta che sembrava non finire mai. Il campo è diventato una palude di acqua e fango in mezzo alla quale le tende sembravano galleggiare. La nostra tenda si è allagata, la mia cesta con i miei libri e gli altri oggetti si è riempita d’acqua. Non potevamo dormire lì e c'è stata offerta ospitalità nelle tende di altre famiglie che erano ancora asciutte. Mi sono ritrovata fuori, i piedi scalzi nel mare di acqua scura, la pioggia che continuava a cadere e davanti a me B., in maglietta e ciabatte, che con la sua voce tonante ripeteva che è tutto uno schifo, che se doveva vivere in mezzo al mare, tanto valeva farlo prendendo una barca per raggiungere la Turchia, invece che continuare a stare lì.

 

Mi ha portata a vedere dentro alla tenda. I bambini dormivano ancora ma l’acqua stava passando attraverso i materassi e a momenti si sarebbero ritrovati tutti bagnati nel mezzo della notte. 

 

Qual è la cosa peggiore di questa storia? Ho provato a sentire quello che B. stava sentendo: l’amore per i propri figli, che è una forza vitale enorme, e il dolore di non avere nessun luogo dove proteggerli, se non una tenda di legno e nylon in cui entrava l’acqua. Questa cosa mi ha pervaso, è come un gas scuro che devasta. Lasciare la porta aperta è pericoloso.

 

Qual è la cosa migliore di questa storia? È che solo provando davvero a immaginare come si sentisse B. in quel momento, sono riuscita a capire quanto è importante vivere qua con lui. Ora noi e B. portiamo questo dolore insieme, e insieme possiamo trasformarlo in qualcosa di così umano e scontato da sembrare quasi incredibile. È il passaggio dal dolore all’amore, in questo schifo che è la guerra, che ti lascia con l’acqua sotto i piedi e col dolore di non aver detto addio a tua madre.

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