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Tra le battute di Gardin (tristi e pure riciclate) e il mancato controllo di chi doveva farlo

Con non poco ribrezzo estrapolo un solo passaggio del maleodorante pezzo che l’Adige ha pubblicato domenica nella settimanale rubrica appaltata ad un comico. Il tristemente comico Lucio Gardin, arrivato inoltre a riciclare le tristi battute già pubblicate nel 2016
DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 06 novembre 2018

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

"Tuttavia parlando di femminicidio va precisato che una donna italiana ha nella sua vita una probabilità dello 0,05 per cento di subire un omicidio, cioè la stessa probabilità di morire in un incidente con il trattore (dati Aspas) ma nessuno parla di trattoricidio". 

 

Con non poco ribrezzo estrapolo un solo passaggio del maleodorante pezzo che l’Adige ha pubblicato domenica nella settimanale rubrica appaltata ad un comico. Il tristemente comico Lucio Gardin, arrivato inoltre a riciclare le tristi battute già pubblicate nel suo spazio il 5 dicembre 2016, un intervento intitolato "Tra femminicidio e trattoricidio".


Avevo sperato in una delle sviste – in questo caso non sorvolabile - che inevitabilmente capitano nei giornali. Le scuse di oggi da parte del direttore dell’Adige confermano che di svista non si è trattato. Giovanetti dice "abbiamo sbagliato”. Gli va dato atto.

 

Ma il direttore dell’Adige – almeno fino all’odierna ammenda – si ferma lì. Non va oltre il dovuto. Non annuncia conseguenze. Archivia la questione con un pizzico di cenere in capo.

 

Quello schifo malamente ammantato di s/ragionamento e perfino di statistica - il vaniloquio di Gardin -  è titolato. Ma il suo s/sragionamento non ha titolo di minima decenza. Come? “Il sessismo e la generala delle carabiniere”. Una certa esperienza nella professione giornalistica mi insegna che per fare un titolo occorre – o almeno occorrerebbe -  leggere il testo

 

All’Adige dunque qualcuno ha preso atto dell’erezione mentale di Gardin (un po' di satira fatecela fare pure a noi) che arrampicandosi nella scemenza dei paralleli banalizza nel più becero dei modi il dramma della violenza sulle donne. Un dramma culturale che sprofonda, sempre più e sempre peggio, nell’emergenza sociale. 

 

Un dramma di quella cultura machista che evidentemente a Gardin procura orgasmiche soddisfazioni quando la fa volutamente fuori dal vaso liberando le mutande piene di una satira utile a concimare i campi di una presuntuosa e ignorante arroganza. 

 

Eppure a me di Gardin non frega nulla. Non è che dando del cretino ad un cretino il cretino diventi di botto intelligente. È tempo perso. A me interessa del giornale che dà albergo settimanale al comico anche quando il comico usa il porto franco di una rubrica fissa per spacciare teorie che sono tanto ingiuste quanto pericolose anche quando sono mascherate di battutismo.

 

Mi chiedo, e chiedo: possibile che in un giornale, dove uomini e donne sono fuori di dubbio degni, non si sia potuto (o voluto), impedire questo scempio? Possibile che chi ha letto e titolato Gardin non si sia fatto un esamino di coscienza? Possibile che non abbia cercato consulto? E se consulto c’è stato, possibile che non sia scattata una salutare obiezione di coscienza tra colleghi per cestinare la gardinata?

 

E ancora, possibile che un direttore responsabile si limiti a prendere le distanze postume e si pensi a posto con uno scusate che è meglio di niente ma che nella vicenda resta niente? A Giovanetti, al collega Giovanetti, non do certo lezioni. Ma lo invito a non impelagarsi nei pistolotti sulla libertà di satira, eccetera. Perché? Perché quando la satira gigioneggia su un disastro sociale quale è quello del femminicidio non è satira. E’ delinquenza, è un reato di lesa intelligenza, di leso rispetto, di lesa civiltà.

 

Caro direttore dell’Adige, caro Giovanetti: le scuse sono il minimo, ma se davvero sei arbitro e responsabile di quel che pubblichi stavolta non ti serve nemmeno il Var per sanzionare come è logico e giusto il tuo tristemente comico collaboratore.

 

Il fallo c’è, e non è da ammonizione. Non basta un cartellino giallo. Ci vuole un rosso che renda credibile la tua direzione e la linea di progresso che propugni. Ci vuole una squalifica: lunga, magari a vita. E ti prego, non nasconderti nemmeno dietro le eventuali scuse di Gardin, sentite o obbligate che siano. Lui è recidivo. I post, whatsapp e quant’altro usa quotidianamente sono una testimonianza continua. Oggi, ad esempio, l’ha girata in politica: “Ho unito la sinistra che si unisce solo quando c’è da massacrarmi. Non mi frega…un pene”. Se un siffatto dovesse pentirsi anche dal confessionale gli indicherebbero la porta della chiesa.

 

Fosse la prima entrata a gamba (e braccio teso) Gardin potrebbe forse invocare clemenza. Ma non è così. Qualche tempo fece il ridanciano sulla Boldrini: “Dovrebbero usarla al posto dei topi sminatori. Perché i topi sono esseri da tutelare”. Allora scrissi, inascoltato, per mettere in guardia le tante realtà pubbliche che in Trentino scritturano Gardin.

 

Se un’istituzione spende giustamente soldi ed energie per una giusta educazione al rispetto dei generi e per i diritti deve almeno praticare la coerenza, evitando che da un palco/pulpito si deridano i generi e i diritti. Oggi ripeto l’appello. Il “no grazie” a Gardin non sarà una censura ma un piccolo risarcimento alle donne e agli uomini, sì anche agli uomini, convinti che sulla violenza non si può scherzare. Mai.

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