Sangiuliano-Boccia, il vero scandalo è l'informazione da 'buco della serratura' e così tutto si trasforma in (Ir)Reality
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Hai sessant’anni. Non sei un Adone. Tuttalpiù ti concedi un po’ di bisBoccia. E ci rimani sotto. Niente, nonostante un’alluvione di parole che se Bob Dylan lo avesse immaginato non avrebbe mai scritto Blowing in the wind (che è testo serio) non si riesce a farsi intrigare dalla vicenda del “fu” ministro. Un ministro che precipita dal cavallo dopo aver provato per una vita a conquistarsi se non una sella (la poltrona che conta) almeno uno strapuntino. Tuttavia attizza e non poco una curiosa nemesi: San Giuliano è il protettore di Macerata. Sangiuliano, quello tutto attaccato sì, ma attaccato all’autolesionismo ridicolmente machista, ha visto macerata una carriera: in un nanosecondo.
Fatti suoi? Chi la fa (o pensa di farla) l’aspetti? Si potrebbe anche metterla così. Si potrebbe chiudere il caso senza cedere all’istinto di spernacchiare i crociati del Dio, Casa e Famiglia che da che mondo è mondo inciampano nel reggicalze altrui senza mai porsi né il problema della coerenza né, e tantomeno, quello della coscienza. Per la verità si era tentati da una risata a braccia allargate e morta lì. Ma come si fa? Come si fa a farsi una ragione del fatto che ci si è trovati catapultati in una puntata di “La pupa e il secchione”. Una puntata girata dentro e fuori un ministero che, paradossalmente, si chiama “della cultura” (ma de chè?).
Come si fa a non perdere il filo, a non divagare, a non spettegolare, a non tifare? Si vorrebbe, ma l’è dura. Beh, forse c’è un solo modo. Si può provare a concentrarsi sulla sostanza, uscendo dalla stanza (l’alcova, i separè o i siparietti) per cercare la sostanza. Ecco, nell’affaire tra la pupa che dà serafica lezione al secchione che fu tronfio e per questo si fregò da solo, la sostanza è l’incredibile assenza di originalità. La sostanza è la banalità della prevedibilità: l’imitazione perfino mal riuscita di una cliché che ha fatto la fortuna della “commedia all’italiana”, dei tanti film dai tempi di Sordi, Banfi e pure di Pierino.
La banalità è quella del potente che però non è un portento e nemmeno è onnipotente se è vero che c’è cascato come un pivello. La banalità di chi per amore (o solo per invaghimento) piazza l’amica laddove non potrebbe e non dovrebbe. La banalità di chi poi, per mettere pezze, pasticcia più di Bombolo. A Sangiuliano banalità e assenza di originalità hanno giocato un brutto scherzo. Il bullo a metà che ha dovuto fare i conti con la sua metà (che c’era, non c’era, dormiva, ma chissenefrega). Marcia indietro e Boccia tutt’altro che ferma. E fin qui è storia. Una storiella che a ripercorrerla vengono i conati (di ilarità, però).
Quel che nel foulletton che al confronto le telenovelas brasiliane sono capolavori da Oscar fa girare gli zebedei è però altro dalla cronaca rosa (pallida). Fa paura, cioè, la trasformazione della televisione pubblica e privata (ma anche di tanta residuale carta stampata) in un fan club: dei peggiori. Seppur disillusi alquanto, seppur smarriti nel raccapezzarsi tra l’orrore di una guerra o di un femminicidio e l’ultimo grado di separazione tra Ben Affleck e Jennifer Lopez, si pensava che un tiggì servisse ancora a fornire notizie. Che aiutasse a discernere.
Si sperava (senza granché di speranza) che ci fosse ancora una qualche differenza tra “Uomini e Donne”, “C’è posta per te”, “Il contadino cerca moglie” e un notiziario.
Nell’ospitata lacrimante del “ministro del pentimento” alla Tv ammiraglia del canone (che a far così è davvero un furto) si è certificata la fine di un ministro più indifendibile che indifeso. Puoi avere il miglior avvocato ma se sei masochista non te la cavi. In un qualsiasi provino per la recita delle elementari, Sangiuliano sarebbe stato Boccia-to per quanto scarso. Nonostante il singhiozzo a comando. Ma fin qui, ancora nessuno scandalo. La Tv che si piega al padrone politico anche se non te lo domanda è sempiterna: scorrazza da sempre da destra a sinistra, e viceversa.
Lo scandalo è semmai il fatto che da Sangiuliano in poi la tv rischia di non avere più alcun palinsesto (comprensibile e credibile). Lo scandalo (già in atto ma ora in accelerazione) potrebbe essere la quotidiana confusione tra programmi dedicati allo svago, alla chiacchiera e programmi cosiddetti di informazione ed approfondimento. Se un ministro non ancora disarcionato può difendersi (da sé stesso) per un quarto d’ora senza contraddittorio, se gli viene concesso un uso pubblico di presunti dolori privati, non ci sarà più nulla in grado di meravigliare. Non ci sarà più alcun contenimento. Alcuna decenza.
Così come succede nelle baruffe farlocche delle isole dei famosi (meglio se formosi) ne potremmo vedere di ogni. Se un ministro avrà mal salato la pasta, andrà in tv raccontando tra le lacrime che qualcuno gli ha malevolmente scambiato i barattoli? Se un deputato di maggioranza avrà forato una gomma perdendo l’aereo (gratuito) andrà in Tv a dire in prima serata che la sua strada per il buon governo è lastricata di chiodi piazzati lì dalle opposizioni? Se il Pil calasse e lo Spread aumentasse i giornalisti dei Tiggì metteranno l’elmetto mentre anche l’ultima mezza tacca al governo gli inciterà a scovare i nemici dell’Italia? Ah no, scusate, questo già succede. Alla trasformazione rapida dell’informazione in deformazione manca ancora un tassello. Un passettino. Una quisquilia. Manca cioè il ruolo dello spettatore.
Ma, niente paura. Lo spettatore (scommettiamo?) presto potrà dire la sua. Potrà votare in diretta per le lacrime di Sangiuliano o per la disperazione di quell’altro ministro che ha messo nella pasta lo zucchero al posto del sale. Alla democrazia, insomma, non si rinuncia. Quella dei pacchi, s’intende.