Riforma dei vitalizi, si può dire ''che schifo?''. Mi si dia del qualunquista ma il divario con i cittadini è sempre più ampio e il perché sempre meno giustificato
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Volendo, si potrebbe limitare il commento a due parole: “Che schifo”. Ma già immaginiamo la reazione trasversale in arrivo da destra, centro, sinistra e vie di mezzo tra l’una e l’altra parrocchia politica. Ecco – diranno chi a voce alta oppure sussurrando ma comunque senza imbarazzo – il solito qualunquista. Eccone un altro – diranno - che fa la morale a noi che ci facciamo il mazzo legiferando, interrogando, presentando mozioni ed ordini del giorno per il modico compenso di 10.500 euro al mese (più tutto il resto che fa ulteriore stipendio).
Ebbene sì, se è qualunquismo scandalizzarsi del fatto che un consigliere regionale vinca ogni giorno per cinque o più anni di legislatura al Superenalotto (o a qualsiasi altro gioco) senza nemmeno la fatica emozionale di giocare la schedina, beh viva il qualunquismo. Il tema dei vitalizi, dei rimborsi stratosferici, della miracolosa moltiplicazione della fruttuosità dei contributi versati, certo non è nuovo. Il sentire comune - quello del popolo votante (sempre meno, però) che per lo più annaspa tra mutui, bollette, vestiti lisi, suole ridotte al nulla e lunari che non sbarcano più – considera a ragione un’offesa (la peggiore delle offese) il privilegio economico degli eletti. È un sentimento legittimo e frustrante che però il senso di impotenza annacqua fino a trasformare una rabbia sacrosanta in assuefazione. O in brontolante ma improduttivo distacco. Distacco dai politici. Distacco dalla politica intesa sempre più come “affare” anche quando non cade nel malaffare.
Tuttavia capita che ad ogni tot di tempo il rifiuto collettivo sia “costretto” a resuscitare. Torna a cantare (amaro) un coro che s’aggrappa (altro, purtroppo, non può fare) al vocabolario della volgarità, di tutto lo scibile inviperito che si potrebbe (e si dovrebbe) usare. Succede – (basta incappare in un qualsiasi conciliabolo di gente comune) in questi giorni con la notizia che un certo numero di ex consiglieri provinciali del Trentino e dell’Alto Adige hanno già incassato ed incasseranno altra manna milionaria per l’attività politico-amministrativa svolta negli scorsi decenni. Loro, i beneficiari, non si faranno certo problemi di moralità. Il rifiuto non è contemplabile. È perfino possibile che s’adombrino, ci restino male o peggio s’atteggino a vittime della “generale ignoranza” dei ruoli e delle prebende ad essi collegate: “Ma come? – par di sentirli - abbiamo solo servito la comunità, su mandato popolare. Riceviamo solo quello che ci è dovuto per il nostro impegno a favore di tutti”.
Chi legge le notizie a mille zeri che oggi riempiono le prime pagine, chi scopre ciò che immaginava ma forse non credeva possibile, taglia corto: “Al servizio della comunità? Al servizio di sé stessi”. Devasta sapere che per effetto di conteggi che saranno anche giusti ma non giustificano uno scandalo (calcoli di cui davvero non importa una cippa) ci sarà chi intascherà uno, uno e mezzo, due milioni e più di euro in aggiunta a quanto ha intascato (tanto, tantissimo) quando era in carica. Lo “spiegone” dei tecnici (ma soprattutto quello dei politici) propone e proporrà una montagna di giustificazioni: leggi, leggine, articoli e che messi tutti assieme mandano al tappeto ogni pervicace resistenza di chi alla politica assegna ancora una qualche valenza.
È del tutto inutile entrare nel merito del “perché” questa genia di eletti (ma non nel senso nobile della parola) debba per forza vivere alla grande. Vivere alla grande durante il mandato. Vivere alla grande nella vita post consigliare che frequentemente continua in qualche gratificante (per gettoni) consiglio di amministrazione. Chi sborsa (nel caso di oggi la Regione, che ha la cassa riempita del pubblico denaro) si barrica dietro la normalità contabile che porta ad una delle peggiori ed odiose anormalità sociali. Ad esempio, si fa riferimento alla copertura di un’inflazione decennale per i “poveri ricchi” di cui sopra. Vabbè, la si prenda per buona. Anche i milionari – si sa – devono far i conti con le zucchine che costano come un’oncia d’oro.
Dove sta il problema? Il problema sta nel mondo alla rovescia che però non ha nulla a che vedere con quello becero di Vannacci. Nel mondo alla rovescia ci stanno quelli che se vedono aumentati stipendi e pensioni possono al massimo comprare un litro di latte in più al supermercato. Tra la loro “inflazione” e quella dei “fu consiglieri provinciali” (ma anche di quelli attuali) c’è un abisso. Ogni paragone è osceno oltre che scemo. Se è qualunquismo e semplicioneria polemica ricordarlo, chissenefrega. Se è demagogia domandarsi perché mai chi sta in un consiglio provinciale debba essere pagato più di un ricercatore anti cancro beh – di nuovo – viva la demagogia. In tanti si domandano (gli altri, la stragrande maggioranza nemmeno se lo domanda più) dove è morta la politica. È colpa dei “valori” tanto edulcorati da diventare fuori moda? È colpa del vaniloquio che caratterizza ogni latitudine partitica in un trionfo di parole vuote e lontanissime dalla realtà? È colpa della boria, della presunzione, del coccolare tutto e tutti per infischiarsene troppo spesso di tutto e di tutti?
Prima di tutto questo – che è tanto e fa star male – la politica è defunta nel momento in cui ha incominciato a battere cassa un giorno sì e l’altro anche. È morta quando da destra e sinistra, e viceversa, si considera “normale” un battere cassa anormale e abnorme. Un battere cassa che mai s’accontenta, che troppo spesso confonde e annulla le differenze ideali e programmatiche, che affonda nei distinguo che non distinguono, nei “sì ma”, negli arzigogoli e nelle mediazioni che non mediano perché alla fine la sostanza è un “incasso immorale”. Tanta, troppa, ipocrisia. Tanto, troppo, giocare malamente con sostantivi ed aggettivi quando si giura di aver abolito i vitalizi per farli poi rientrare sotto mentite e inaccettabili spoglie.
Se non fosse da piangere sarebbe perfino comica la scelta di chi – da oppositore oggi e governante ieri – non butta all’aria il tavolo dove si tratta la materia della “politica a peso d’oro”. Sono quelli che s’inerpicano lungo le salite di trattative che forse cambiano le virgole ma lasciano inalterata la sostanza. Ma non si può chiedere l’impossibile a chi vede improvvisamente e felicemente esplodere il proprio imponibile. Si potrà almeno sognare? E allora si sogni il giorno in cui qualcuno in un consiglio provinciale si porrà pubblicamente e onestamente il dubbio dell’equità. Stipendi che superano i 10 mila euro, rimborsi d’ogni tipo e altre facezie, non sono il “naturale” riconoscimento economico per la “fatica della politica”. Si sogni, ancora, che l’argomento di sconfortante attualità non sia solo quello dei vitalizi (o come furbescamente si vogliono chiamare) ma anche della distanza siderale tra la paga di un consigliere provinciale e la maggior parte delle altre paghe.
Eccoli, si infervoreranno perorando la causa della “fatica della politica”, del legiferare, dell’interrogare, del far mozioni, dell’inaugurare e fare riunioni. Che facciano pure, che dicano pure. Ma provino, se hanno il coraggio, a dare del qualunquista ad un turnista con due figli e badante per il padre. A metà mese il suo portafoglio è in lacrime. Parlino a lui di “fatica della politica”, di stipendi “meritati”, di calcoli ostrogoti, di leggi, leggine e commi. Scommettiamo che avranno un “impegno improrogabile”?