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Le sardine pronte a scendere in piazza a Trento: c’è urgenza di normalità e serve un incrocio generazionale di linguaggi e di sentimenti

Cosa aspettarsi allora dalle sardine? Forse non c’è da aspettarsi nulla nel senso rituale dell’articolazione. O dell’organizzazione. C’è tuttavia da augurarsi che le sardine “mettano in movimento” cuori e menti piuttosto che “farsi movimento”. Urge rimettere in movimento le idee, la forza di mille e mille diversità capaci di riconquistare la virtù di un confronto non incasellato
DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 26 novembre 2019

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Le sardine. Anche a Trento. Le sardine, il 6 dicembre prossimo. Forse un mare. Forse un lago. Ma non importa.

 

Le sardine, in piazza Duomo. Che piazza sarà? Sarà piena. Scommettiamo? Ma piena di che? Si spera, anzi si è certi, di normalità. L’invadenza, benedetta, della normalità.

 

C’è urgenza di normalità. Una normalità che non sia vuota di contenuti. C’è un’emergenza democratica? In qualche caso sì e non è il caso di sottovalutare.

 

Ma l’emergenza più che democratica è demografica. C’è necessità - vitale - di un solido, nuovo, intreccio generazionale. Serve un incrocio generazionale di linguaggi e di sentimenti. Acerbi o maturi che siano, i protagonisti non possono più permettersi l’incomunicabilità.

 

Giovani, vecchi, mezze età: pensano in modi diversi, parlano diversamente, vestono diversamente. Ma se non si incontrano – anche scontrandosi - siamo alla frutta. Se si incontreranno, se ognuno uscirà dal guscio delle proprie convinzioni stupidamente assolute, qualcosa di meglio dovrà per forza accadere.

 

Comunicare in una libertà “viso a viso” piuttosto che filtrata nella solitudine dei soli “social”. Oggi è questa la “libertà” che ci manca. Una libertà senza padrini e senza maestri. Una libertà con meno deleghe e con più responsabilità. Una responsabilità personale che, chissà, potrebbe diventare finalmente collettiva.

 

In piazza, inutile illudersi, ci sarà chi è più bravo ad argomentare ma al tempo incapace e disinteressato a farsi capire. Viceversa, ci sarà anche chi ha meno vocabolario ma più onestà. Ci sarà – purtroppo- anche il trasformista: farà il salto triplo per dichiararsi senza bandiera, così come impone legittimamente il sardinismo. Ma la bandiera sarà ben nascosta nella borsa, pronta all’uso assieme al cappello.

 

Ci sarà anche chi un tempo c’era sempre ma non si è mai pentito abbastanza di aver perso tempo. Chi ha rincorso sogni diventati incubi nei personalismi deleteri della politica con la “p” minuscola. La piazza è grande: c’è posto anche per le contraddizioni. Ed è giusto che ci siano. Ma nella piazza delle sardine si potrebbe respirare - almeno - la speranza. La speranza che la normalità di tanti volti ignoti ridicolizzi e metta all’angolo l’anormalità boriosa di troppi volti noti.

 

L’anormalità di chi pontifica dopo aver disintegrato ogni ponte di umanità e di buon senso. L’anormalità di chi divide anche se ancora non impera, di chi deforma la realtà ad uso e consumo dell’urna elettorale. C’è la speranza – stavolta è davvero l’ultima a cui aggrapparsi – che nella piazza delle sardine il “noi” prevalga davvero sull’io degenerato e degenerante del nostro disarmante quotidiano.

 

C’è la speranza che quel “noi” possa durare più del tempo di una festa affollata. Occorre guardarsi, infatti, dalla trappola malefica di chi è esperto, sgamato e abile nel travestimento. Di chi dopo gli applausi dirà ancora una volta “bravi, ma adesso lasciate fare a noi”. Se le sardine faranno banco facendo diventare piccola una piazza grande c’è il rischio sano di un’inedita contaminazione: genitori e figli, giovani e adulti, studenti e lavoratori, pensionati e precari.

 

Illusione? Ennesima chimera? Delusione dietro l’angolo di una sbornia numerica che ha già un inizio esplosivo ma che non lascia prevedere il dopo? Si vedrà. Ma intanto non si può negare l’imprevedibilità e la meraviglia di un risveglio. Un risveglio che toglie ineluttabilità al torpore e frena la drammatica assuefazione al peggio. Se nella piazza dell’incontro le età e le storie incroceranno gli occhi prima delle parole è possibile che la virtù del dubbio metta per una volta all’angolo un esercito di maledetti pushers: gli spacciatori di falsità e paure.

 

Tra buonismo acritico e egoismo intollerante ci deve pure una via di mezzo: la piazza dell’incontro può essere che ne individui almeno l’indirizzo. All’angolo, dunque, chi semplifica. All’angolo l’incultura ma anche chi in nome della sua presunta sapienza taccia di ignoranza chi è solo, chi è incerto e disorientato di fronte al presente. Il presente rapido di mondo che cambiando inesorabilmente cambia anche i mondi privati chiusi tra i muri di piccole e gelose sicurezze.

 

Cosa aspettarsi allora dalle sardine? Forse non c’è da aspettarsi nulla nel senso rituale dell’articolazione. O dell’organizzazione. C’è tuttavia da augurarsi che le sardine “mettano in movimento” cuori e menti piuttosto che “farsi movimento”. Urge rimettere in movimento le idee, la forza di mille e mille diversità capaci di riconquistare la virtù di un confronto non incasellato. Un confronto libero, appunto. Imprevedibile, appunto.

 

Non si tratta di smarrirsi nella diatriba tra “per” o “contro”. Si tratta di recuperare una dimensione di reciprocità, di reciproca conoscenza, di vicinanza: si è abdicato alla normalità per troppo tempo. I valori potranno anche sbiadirsi ma di fronte al pericolo di sparizione trovano miracolosamente un nuovo respiro. L’odio non è un valore. Il rispetto sì. L’ingiustizia non è un valore, la giustizia sì. La politica che sta “altrove” rispetto ai problemi è una truffa: sempre, di ogni colore.

 

Una politica che non fugge alla fatica e alla serietà dei problemi, potrebbe – chissà - tornare ad essere un valore. Potrebbe essere, finalmente e semplicemente, politica. Anziché circo. La piazza delle sardine non permetterà comizi? Bene, bravi, bis. La “piazza occasione”: questa sì che sarebbe una rivoluzione.

 

Sarebbe un’occasione di futuro se con la ritrovata voglia di imporre un altro clima si cominceranno a metabolizzare e amplificare le priorità di un’altra agenda. Senza più subire agende scritte con l’inchiostro simpatico, (quello che si cancella e illude) da una politica antipatica. Si abbisogna di una competenza alimentata di conoscenza vera ma anche di umanità e diritti. Serve una prospettiva almeno un poco meno precaria: nel lavoro come nell’ambiente.

 

Dalla piazza delle sardine non è lecito (sarebbe il solito giochetto criminale) attendersi la “scrittura” dell’agenda. Ma se l’incontro, se un’Agorà spontanea dei punti di vista, darà solo l’idea di un “si può fare”, beh allora i detrattori che stanno annidati ovunque avranno vita più dura. Svelenire, smettere di tifare e, piuttosto, “fare”. Difendere le proprie convinzioni, combattere il regresso ma farlo allo scoperto, possibilmente in rete ma nello stesso tempo senza rete. È indispensabile uscire dalla “fascia protetta” dell’inutile interlocuzione solo con chi la pensa come te perché “gli altri sono ignoranti”.

 

Dalle sardine ci si aspetta molto. Ma in realtà sono le sardine ad aspettare. Probabilmente aspettano che il “fare comunità” non sia più uno slogan vuoto, usurato e beffardo. Se si sarà sardine anche oltre la piazza – a casa, nei bar o nei partiti- tutto potrebbe mutare di botto. Di brutto? Ma no, di bello, ovviamente.

 

Ma intanto accontentiamoci di una boccata d’ossigeno arrivata all’ultimo secondo disponibile prima dell’asfissia. Se infine alle sardine servisse un inno, suggeriamo con umiltà di guardare ad un genio della lungimiranza scomoda tanto a sinistra quanto a destra. Suggeriamo Gaber: “C’è un’aria, un’aria, ma c’è un’aria che manca l’aria”.

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