''Friday for future'', e adesso? Noi adulti dobbiamo chiedere scusa e farci prendere per mano dai giovani
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
E adesso? Dopo l’immersione emozionale di “Friday for future” come la mettiamo? A Trento – così come nel mondo intero – anche noi adulti abbiamo sfilato – defilati per un certo pudore anagrafico - a fianco della bella gioventù. Ora noi adulti abbiamo un motivo in più per un pubblico pentimento. Noi che siamo stati in piazza e in strada fin dalla notte dei tempi della contestazione e dell’illusione, noi che abbiamo manifestato per tutto e per tutti rincorrendo in perenne affanno un mondo se non perfetto almeno meno ingiusto, abbiamo spesso smarrito le priorità dell’agenda.
Il clima? Beh, allora non era clima. Se dal Sessantotto in poi avessimo mangiato un po’ meno ideologia e un po’ più concretezza - meno certezze, più dubbi e più lungimiranza - forse oggi non dovremmo affidarci ad una speranza adolescenziale. Staremmo un po’ meglio. Anche ecologicamente. Tuttavia ci ha stupiti e commossi la bella gioventù che venerdì scorso ha sfilato a Trento come nel mondo. E’ ossigeno in un mondo irrespirabile. E’ un punto di partenza che dopo la festa – e che festa – impone di non commettere i “soliti” errori di sopra e sotto valutazione.
La vitalità e la forza comunicativa delle ragazze e dei ragazzi, delle bambine e dei bambini, procura simpatia, (forse perfino gioia). Gode e ammira chiunque non abbia ancora mandato il cervello al macero, a chiunque non pensi che l’anomala calura invernale sia una benedizione perché cala il costo della bolletta del gas o del gasolio. Ma non c’è tempo per entusiasmarsi. C’è solo l’urgenza di interrogarsi con meno superficialità di quanto non ci sia interrogati fino ad ora. Noi adulti possiamo solo applaudire? Certo, dobbiamo applaudire alla capacità dei giovani di essere tanto lucidi nel messaggio quanto chiari nel comunicarlo. Ma poi? Poi è indispensabile passare dall’età adulta all’età matura.
È fondamentale mettere le nostre ormai scarse energie al servizio di chi di energia ne ha – per fortuna loro e nostra - da regalare. Ora più che mai – (loro non hanno più il tempo che noi pensavamo stupidamente di avere) – dobbiamo provare a metterci “al servizio di quei giovani”. Guai a guidarli. Sono loro a doverci guidare. Noi possiamo, dobbiamo, assicurare loro spazi, mezzi, autonomia, libertà di organizzazione e soprattutto libertà di vera interlocuzione. Stare in disparte per stare dalla loro parte. Venerdì scorso la politica ha lasciato a casa le bandiere di partito. Alcuni politici si sono mimetizzati nella marea colorata. Bene, benissimo. E più che legittima, oltre che salutare, la vicinanza fisica e ideale. Ma ora la politica ha l’occasione di dimostrare se, come e quanto ha voglia di scendere dalla cattedra. Se, come e quanto voglia imparare anziché insegnare.
Ma cosa ci ha insegnato quella folla nella quale anche i nanetti delle scuole elementari sono parsi come giganti nella capacità di coinvolgere? La manifestazione di “Friday for Future” ci ha insegnato – per esempio – che la serietà e l’efficacia degli argomenti si amplifica quando prevale l’allegria e la creatività nei comportamenti e nelle forme di una protesta-appello. Succede quando la protesta evita il rito, quando diventa meno prevedibile, meno “deja vu”. Scrivere su un cartone che “Le stagioni sono più irregolari del mio ciclo” è condensare in otto parole un impegnatissimo tomo ecologista che nessuno mai leggerà. Buttarla in dialetto – “Gho calt”, (nel senso del torrido che spaventa), non è buttarla in vacca. È, al contrario, dare alla realtà un linguaggio che prima incuriosisce e poi, probabilmente, impone di non abdicare alla riflessione.
Ogni movimento è anche iconografico. Ma oggi l’iconografia conta più di ieri: rafforza o depotenzia i contenuti, crea attenzione o crea rifiuto. Pochi giorni dopo “Friday for future” a Trento hanno sfilato gli anarchici. Non dicono sempre scemenze. Le dicono, spesso, in modo scemo. E se pure urlano, (a volte) cose giuste, allontanano e si allontano da ogni possibile condivisione. Gli eco-ragazzi no. Gli eco-ragazzi delle scuole e dell’università non sembrano destinati ad inciampare nella logica del “pochi ma buoni”. Hanno mostrato di essere tanti, tantissimi ma non sembrano orientati a crogiolarsi nell’esaltazione dell’anagrafe: il mondo cambierà con il contagio delle generazioni.
È un passo avanti. Un passo che nessun imbecille con la bava da sapientone alla bocca riuscirà a fermare vomitando insulti come quelli che si sono letti sui social e sulla stampa all’indomani di “Friday for future”.
Ai ragazzi mobilitati dalla svedesina Greta hanno dato dei “gretini”: un gregge che salta le lezioni ad ogni occasione. Rispondere? Inutile. E’ inutile infierire su chi è rimasto con un solo neurone per di più deteriorato dalla sicumera. I ragazzi non hanno, per altro, tempo da perdere: non se lo possono permettere. Il poco tempo che hanno – che abbiamo – possono spenderlo trasformando l’energia e l’entusiasmo in consapevolezza, credibilità ed esempio. All’ambiente non bastano gli slogan, (tutti giusti, tutti belli), ma la continuità e la capillarità di azione, la conoscenza e l’approfondimento dei problemi angoscianti da tradurre in proposta in ogni modo. Compreso quello estemporaneo.
Ai giovani si contesta la superficialità, la genericità? Protestano ma non sanno spiegare il buco nell’ozono? Forse. Ma sanno, o intuiscono, che così non si va avanti. Davvero. I giovani possono smentire i cretini detrattori a compenso e i terrapiattisti di ogni scienza. Possono scegliere di modificare nel loro quotidiano – (consumi, movimenti, cultura) quel che è “ancora” modificabile. I giovani possono svegliare padri, madri, nonni e zii su quello che si può fare da soli e di quello che bisogna imporre a chi conduce il pianeta verso il baratro.
E noi adulti? Possiamo credere ai giovani. Crederci, almeno per una volta. Accettare, almeno per una volta, la loro forza e le loro contraddizioni al motto “diteci cosa possiamo fare perché siate sempre più voi a parlare”. Fidarsi dei giovani. Eccola la rivoluzione.
Ps. Ho sullo stomaco il peso stomachevole dei Ferrara e della Maglie. Uno ha dato ai ragazzi delle manifestazioni dei “gretini”. L’altra voleva investire Greta Thumberg (per scherzo, demente). I due hanno in comune la ciccia. Grassi di presunzione. A me viene in mente una filastrocca antica che starebbe bene in bocca ad uno dei tanti bambini visti sfilare felici al corteo per salvare il pianeta: “Ciccio bomba cannoniere fa la cacca nel bicchiere. Il bicchiere si spaccò. Ciccio bomba si smerdò”.