Fino agli anni Novanta le scarpe da ginnastica erano un vilipendio e oggi ritorna in mente il monito di Cesare Maestri: "Non abbiamo saputo educare alla montagna"
Attore professionista, autore e doppiatore
Fino agli anni Novanta si andava in montagna con le “zuave” e i calzettoni. Obbligatori gli scarponi. Vilipendio alla montagna le scarpe da ginnastica, almeno così si pensava allora.
Nello zaino camicia di flanella e maglione, assieme a mantella impermeabile e cambio di biancheria. La prudenza in montagna non è mai troppa, ci spiegavano.
Ah, se lo zaino potesse parlare: fino ai quaranta (anni) portava lugàneghe, cotolette, “panéti”, cioccolate, scatolette di tonno e\o di carne, frutta secca varia e bevande di conforto, (ricordo un giorno anche pesciolini marinati, due etti circa) poi con “l’evoluzione anagrafica” il povero zaino pesa molto di più e sopporta due formaggini, calzettoni, maglioni, giacca a vento, berretti di lana a scelta, guanti, impermeabile, sacchetto per le immondizie da riportare a casa, coperta e medicinali vari che non si sa mai.
Ora saremmo sul sentiero dei luoghi comuni (affollato pure quello) se dicessimo che la mandria alla partenza degli impianti (dove ci si può presentare con tacco dodici e cagnolino mignon in braccio, basta pagare il biglietto) della prudenza se ne frega.
In cambio, a quanto sembra, latita anche il coraggio. Le cronache sono piene di individui che si smarriscono perché “Google non spiegava” o che sfidano il maltempo perché all’oscuro dell’allerta meteo, compresi quelli che escono dal sentiero perché più furbi e si bloccano nella nebbia, non contando i fragili che chiamano l’elicottero perché troppo stanchi. Gran daffare per gli uomini del Soccorso Alpino, gente fin troppo encomiabile.
Ci sono anche i “vertical” quelli che corrono con altimetro, frequenziometro, cardiopippo e chissachecosometro che del panorama se ne fregano perché conta solo il tempo, quanto ci mettono. Seguono gli “strazzaboschi” che con bici futuribili scendono da pazzi a scavare solchi tra gli alberi perché piace così. E magari sono peggio dell’orso se te li trovi davanti. Poi ci sono gli orsi appunto, ma con quelli abbiamo risolto perché la Provincia ha fatto stampare i cartelli. Non so quanti.
Non è più di moda la prudenza per il turismo massificato, è roba per vecchi. Invece va forte l’ignoranza a un livello mai sfiorato prima. Proprio letterale da “coloro che ignorano”. Ma vanno lo stesso. Ed è qui che sento ancora la voce di Cesare Maestri che mi disse tristemente un giorno la frase “Non abbiamo saputo educare alla montagna!”.
Quindi non è che per farlo si debbano costruire alberghi a cinque stelle per filtrare verso l’alto i fruitori. Non dovrebbero essere i soldi dei ricchi a separare turismo di massa da quello d’elite, ma appunto come diceva il buon Cesare l’educazione. Il turismo di massa, ormai, ci sarà sempre.
Però il turismo è in crescita, allegri, ed ora sarà permesso costruire alberghi a cinque stelle (a proposito) anche in zone agricole, tanto che ce ne facciamo delle patate? Tutto quel verde infastidisce certe persone che venendo dalle città non sono abituate, un po’ di cementificazione qua e là è necessaria, per l’occhio, per lo scorrimento delle acque in special modo, per questo loro hanno anche studiato. Edificare in luoghi che i nostri vecchi chiamavano “Fontanelle”, “Palù”, “Mizza” “Moia” o simili che voleva dire? Boh…avanti con lo sviluppo.
Da ragazzo conoscevo un tipo crudele che catturava i rospi, poi metteva loro una sigaretta in bocca e questi aspiravano, si gonfiavano, si sviluppavano fino a scoppiare. Letteralmente scoppiavano. Brutto da vedere e quel tizio non l’ho mai sopportato.