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''Ecco. Il seminatore uscì a seminare''

Con questo brano, nel vangelo secondo Matteo, si apre un'importate sezione interamente dedicata ai discorsi che Gesù tenne sotto forma di parabole
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Di Alessandro Anderle - 11 luglio 2020

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

Mt 13,1-23 Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono.

Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.

 

Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: «Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!». Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

 

Con questo brano, nel vangelo secondo Matteo, si apre un'importate sezione interamente dedicata ai discorsi che Gesù tenne sotto forma di parabole. Questa tipologia di linguaggio possiede una particolarità: partendo da situazioni di stampo comune – di cui tutti i suoi interlocutori avevano esperienza diretta – Gesù rovescia il sentire, mette in crisi il pensiero dominante che, consolidato nel tempo e nelle tradizioni, assume la forma del mantra (nella sua forma negativa, quella sclerotizzata), si consolida nella mente sotto forma di pre-giudizio.

 

Fra le parabole gesuane, quella del seminatore è certamente una delle più conosciute – e delle più commentate. Inoltre in questo caso è lo stesso Gesù a rendere esplicito il significato della parabola che, spesso, proprio in virtù del fatto di essere in controtendenza rispetto alle opinioni comuni, poteva risultare poco chiaro agli interlocutori. Si noti bene il fatto che Gesù non volle, attraverso l'utilizzo di un linguaggio oscuro e misterioso, portare una rivelazione accessibile a pochi, ma il contrario. Ed è proprio lui ad esplicitarlo in questa parabola.

 

La Parola, la rivelazione, l'Amore del Padre è, infatti, uguale per tutto il Creato. Ciò che diventa problematico, sembra suggerire Gesù, è la predisposizione dell'animo di coloro che si trovano ad ascoltare tale rivelazione. In altre parole si potrebbe dire che ciò che ostacola l'attecchimento dell'Amore non è la fertilità del seme (l'Amore stesso), ma quella del terreno che tale seme dovrà accogliere, custodire, far germogliare e crescere.

 

Dal punto di vista esistenziale, ogni essere umano attraversa fasi della vita in cui è pietraia, roveto, campo, deserto. E quasi sempre non si ha coscienza della propria aridità; non se ne ha coscienza almeno fintantoché un seme, una granello d'Amore, non vi si posa. Quando ciò accade, per quanto inospitale possa essere la terra dell'anima, si sente lo schiudersi del seme. L'involucro, coriaceo, muore per lasciare posto al flusso vitale, alla nascita di una parte nuova di noi.

 

Ed è esattamente in questo punto che ci si rende conto del bisogno di improvvisarsi contadini dell'anima, di proteggere quel seme rimuovendo pietre, sradicando i rovi, portando acqua e prendendosene cura, proteggendolo. Il seme, la Parolamore, indica il bisogno di farsi zolla, di dissodare l'anima in accoglienza.

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