Un vino che fa ''Breccia'', il Teroldego ''Fuoricampo'' di Omar Pancher è un'eccellenza con identità
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Far breccia nel variegato mondo del vino non è proprio facile. Anzi: diventa una sfida impostata nella ricerca di superlativi, parole e aggettivi mirati a rendere il vino eccellenza per antonomasia. Usando ovviamente la definizione ‘eccellenza’ nella maniera più sbagliata. Perché di eccellenze, anche nel vino, ce ne sono non dico poche, ma rare, per non dire introvabili, fuori ogni schema e consuetudine. Appunto, eccellenze.
Ecco allora che un giovane vignaiolo riesce a far breccia puntando semplicemente sul nome scelto per la sua cantina, descrivendo il suo primo vino con queste parole: fruttato e di buona struttura per colorare i momenti con gli amici, le degustazioni con i parenti e - se capita - la tovaglia. Proprio così, una descrizione - stavolta bisogna dirlo - eccellente.
L’ha scritta Omar Pancher per il suo Fuoricampo, un Teroldego di Mezzocorona da uve di un vigneto limitrofo alla Doc e dunque oltre i confini mappali stabiliti dai disciplinari e quindi non può fregiarsi del rafforzativo Rotaliano. Una variante che diventa forza. Per fare breccia nel settore. Non a caso è proprio Breccia anche il nome scelto per l’azienda di famiglia, nemmeno una decina di ettari, "caneva" razionale, ancora in evoluzione, situata nel cuore del paese, in via Canè, tra edifici dal fascino rurale che rievocano la vocazione enoica di una borgata orgogliosa decisamente "teroldeghista".
Omar ha idee chiare e precisi obiettivi. Mette a frutto la dinamicità della sua famiglia e i suoi studi in enologia per recuperare gli aspetti più sinceri legati al "far uva per far vino". Progetta un vino vivace in sintonia con i dettami del Trento Doc (ne ha già "tirato" qualche migliaio di bottiglie) curando pure idonei filari di Lagrein, l’ altra uva stanziale del Campo Rotaliano.
Gestione rigorosamente artigianale, l’indole del vignaiolo che rispecchia perfettamente quella dei più blasonati vignerons d’Oltralpe, quando vite e grinta interpretativa trasferiscono nel vino schiettezza e sorsi di fantasia. Per scoprirlo basta stappare questo Fuoricampo, versarlo in un calice - evitate le tovaglie di pizzo - e constatare tutta la sanguigna identità, scorrevole al palato dopo un fresco sentore balsamico, con una persistenza che scardina consuetudini stantie, per far breccia nelle sensazioni. Talmente sincero che difficilmente macchierà il tavolo. Per facilità di beva e altrettanta godibilità.