Stelle Michelin, in Alto Adige si mangia meglio, tra tradizione e innovazione, e il confronto con il Trentino è impietoso
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Il confronto è per certi versi impietoso: l’Alto Adige batte il Trentino per 21 a 8. Sono i numeri in estrema sintesi dei ristoranti premiati ieri dalla nuova edizione della Guida Michelin. Meno drastico il rapporto Bolzano/Trento per quanto concerne Osterie d’Italia, guida Slow Food presentata ieri sera a Trento, in contemporanea con gli esiti della Michelin. Intanto un gruppo di giovani cuochi intende aprire una cucina naturale ai Frisanchi di Centa san Nicolò.
Inutile continuare a ribadirlo: in Alto Adige si mangia meglio. Senza alcun dubbio. Un raffronto ancora più squilibrato se si pensa che Bolzano può conteggiare tra i 21 stellati anche un Tre stelle e altri 3 con il raddoppio del simbolo che esalta l’alta cucina. Merito di una formazione che coinvolge gli operatori del settore gastronomico oltre i campanilismi, in un gioco di squadra collegiale quanto impegnativo. Sfruttando strutture alberghiere d’assoluto prestigio, quelle rivolte ad un turismo per certi versi elitario, con proposte culinarie comunque in grado di rendere memorabile ogni sosta gastronomica, indipendentemente dal rapporto prezzo/qualità.
Perché gli chef stellati fanno scuola, stimolano i giovani a cimentarsi in progetti di cucina creativa rispettando i canoni locali dell’identità golosa. Talmente determinati che i ristoranti di pregio - con le rispettive ‘brigate di cucina’ - sono in piena sinergia con le proposte cibarie delle caratteristiche trattorie sudtirolesi, pure con qualche agritur dove in questo periodo si ripete il rito del Toerggelen, mosto d’uva in abbinamento con ‘Schlutzen’, ravioloni di formaggio e verdure, poi sostanziosi carni di maiale, nell’immancabile finale con caldarroste.
Cucina top&pop, in uno scambio che in Trentino non riesce ad imporsi, anche se la bravura di alcuni cuochi è indiscutibile. Non a caso il tristellato Norbert Niederkofler è in piena sintonia con gli alfieri della cucina schiettamente trentina, vale a dire Alfio Ghezzi e Alessandro Gilmozzi, protagonisti di progetti legati al recupero del patrimonio gastronomico della montagna, contro sprechi e nel rispetto della natura. L’attenzione per la naturalità degli ingredienti ha premiato anche il cuoco di Cavalese, Alessandro Gilmozzi, che alla sua ‘stella’ ora può affiancarne una dal colore verde, simbolo di sostenibilità gastronomica.
Ancora sulle ‘stelle’: in Trentino niente di nuovo (a parte la ‘verde’ per Gilmozzi) mentre la Guida Rossa premia tre nuovi ristoranti altoatesini, compreso - e questa è davvero una singolarità - anche quello situato all’interno della Birreria Forst, il Luis Stube, chef Luis Haller, che è riuscito addirittura a togliere dalla sua proposta la birra ‘della casa madre’ spillata a pochi passi, dimostrando piena autonomia e una visione assolutamente mirabile, comunque legata a interpretare la tradizione con altrettanta personalità.
Consuetudini agronomiche e cibo di sana quanto schietta artigianalità sono i cardini alla base delle recensioni di Osterie d’Italia edita da Slow Food. Subito un dato: Trentino e Alto Adige si bilanciano, sia per numero di osterie che per numero delle Chiocciole, l’equivalente delle Stelle Michelin.
La presentazione è stata ospitata dal Muse, ieri sera, trasformato in un variegato giacimento gastronomico, una quindicina di osterie che proponevano sfizioserie tra gli archetipi museali, in uno scambio di saperi oltre che immancabili confronti sensoriali. Trattorie storicamente inserite sul sussidiario di Slow Food. Cucine veraci, pienamente ‘local’, come il Nerina di Malgolo, le Tre Chiavi d’Isera, ma anche il Boivin di Levico Terme, la Morelli di Canezza, solo per citare le più quotate tra le 8 che conquistano anche per il 2023 le ambite Chiocciole.
Al Muse è andata in scena anche la degustazione di un Lambrusco a foglia frastagliata, vino rosso del sud Trentino, proposto da Roeno, Vallarom e Bongiovanni, tre aziende che presidiano la tradizione vinicola di questa antica varietà d’uva a rischio d’estinzione. Poi si poteva bere Vino Santo e pure la Nosiola prodotta dalle aziende della valle dei laghi. Altra novità, assolutamente stimolante. In un banchetto tra gli spazi del Muse si poteva assaggiare una pasta cucinata con una ricetta elaborata dai promettenti cuochi della Rete Giovanile di Slow Food Trentino. Un gruppo di ragazzi formati alla scuola di cucina di Tione, decisi a cimentarsi ‘in proprio’ valorizzando prodotti naturali rigidamente trentini.
Ecco allora un progetto concreto: aprire ai Frisanchi, frazione di Centa San Nicolò, una loro cucina rispettosa di tradizione e altrettanta spinta innovativa. Si chiama La Taola e aprirà a fine dicembre in un maso che Nicolò Avi assieme ai suoi giovanissimi ‘spadellatori’ metterà a disposizione dei golosi più curiosi. Per uno scambio culturale oltre che di cucina. Senza timori, per superare anche qualche contrapposizione tra Trentino e Alto Adige. Ma ne riparleremo.