Non ha mai avuto tentennamenti, si è licenziata e ha iniziato a coltivare le viti sui terrazzamenti: la storia di Tania Gozzer, vignaiola di Novaledo
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Non è una figlia d’arte, ma la vigna e il vino sono il suo sprone di vita. Tania Gozzer è una vignaiola di Novaledo, in Valsugana, zona ingiustamente penalizzata nel palmares delle colture viticole dolomitiche più in vista. Lei non ha mai avuto tentennamenti: voleva fare la vignaiola. Ha studiato a San Michele all’Adige, dopo il diploma s’è poi laureata ad Udine, discutendo alla Fondazione Mach una tesi su tecniche bio legate alle fermentazioni del Pinot bianco.
Encomio e immediata rassicurante offerta di lavoro - a due passi da casa - come analista nel laboratorio scientifico di una importante azienda della trasformazione della frutta in succhi e confetture. Impiego fisso, con ottime prospettive. Ma a lei mancava il rapporto con l’enologia. E ha scelto la vigna.
S’è licenziata, messo su famiglia (ha un gioioso pargoletto) e cimentandosi totalmente come verace vignaiola. Sicura di trasferire nei suoi quasi 4 ettari valsuganoti vitati storie moderne di cultura rurale, impostate a suo tempo dal nonno Saverio, proseguite con l’arguzia di papà Imerio e l’aiuto (in campagna) di Sebastiano, il fratello di Tania. I riscontri sono più che incoraggianti.
Coltiva Mueller Thurgau - su crinale ghiaioso, terreno sciolto, per uve pregne di carattere - e un podere piantato a Rebo - indole "pop" con grinta elegante - riservando cure particolari alle uve di una varietà "a rischio d’estinzione" come la Turca, bacca rossa, per un bere apparentemente brusco, vino della Valsugana un tempo destinato in parte (via attigua ferrovia, in funzione dal 1896 sull’asse Venezia-Vienna, snodo a Trento) al mercato austroungarico.
Tania lo coltiva alla vecchia maniera, su piccoli terrazzamenti sorretti da mura a secco, senza alcuna forzatura. Il rosso da Turca è in bottiglia da poche settimane, pronto a soddisfare la curiosità di quanti vogliono scoprire un vino da uve chiamate così per il carattere brusco, seppur speziato, spesso e duro, come nel dialetto trentino si definisce un "rude comportamento da turchi".
Il vitigno ha però una nobile citazione ne I Promessi Sposi, dove viene descritta dal Manzoni come “uva turca, più alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verde cupi, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri...".
Dunque solo tre tipologie di vino. Nel rispetto della storica evoluzione viticola lungo la Brenta, quella della sua valle e della sua dinastia contadina, soprannominata "dei Fagarini", il faggio nel carattere fonetico di una famiglia giunta da tante generazioni a Nogaredo dalla valle dei Mocheni.
Fagarini, per distinguersi, rafforzando legami territoriali. Non a caso è il nome dell’azienda curata dalla giovane Tania. Che sta ultimando la costruzione di una piccola, funzionale cantina, per vinificare completamente in proprio le uve, a partire dalla prossima vendemmia. Intanto è riuscita pure a mettere a dimora in un lembo di Valsugana qualche migliaio di barbatelle di Pinot nero, per future esigenze, magari per eventuali micro vinificazioni spumantistiche.
Fatica e progettualità, una proposta enoica senza alcun clamore di marketing o per sfidare il blasone di cantine altosonanti, piuttosto l’esempio più sincero di un Trentino vitivinicolo che cerca di trasferire nel vino l’essenza, per certi versi l’anima, di quanti coltivano appunto la vite come scelta di vita. Proprio dimostra a Novaledo, nel cuore della Valsugana, la brava Tania dei Fagarini.