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Nel nome del padre, della vite e del vino: un viaggio nei ricordi enoici trentini di Flavio Demattè con l'Altopiano della Vigolana come scenario

Flavio Demattè s’ispira all’Homo vinitor e nei suoi scritti evoca la figura del padre, figura portante per una viticoltura ritenuta ingiustamente marginale, in quanto Vigolo Vattaro era considerato "montagna da pascolo". Ecco che il pedìo che porta verso i paesi della Vigolana diventa una sorta di ‘cru’ e per giunta dal nome decisamente suggestivo: Brusafèr
DAL BLOG
Di Ades, by Nereo Pederzolli - 02 luglio 2021

Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia

Bere vino, per conservare ricordi, per rilanciare sensazioni sedimentate nel nostro cervello. E rendere i riti della coltura vinaria piccole schegge di convivialità e altrettanta curiosità.

 

Flavio Demattè s’ispira all’Homo vinitor e nei suoi scritti evoca la figura del padre, figura portante per una viticoltura ritenuta ingiustamente marginale, in quanto Vigolo Vattaro era considerato "montagna da pascolo". Il clima ha giocato – o giovato – ad un ripensamento. Ecco che il pedìo che porta verso i paesi della Vigolana diventa una sorta di ‘cru’ e per giunta dal nome decisamente suggestivo: Brusafèr.

 

Terre solatie, difficili da curare, ma indispensabili per conservare la memoria. Nel libro – fresco di stampa, edito da Effe Erre con la supervisione editoriale di Mauro Neri e le illustrazioni di Giuliano Pradi – il ricordo diventa sapere e quindi sapore. Di vita oltre che di vino.

 

Gli studiosi ribadiscono come la memoria sia una funzione cognitiva assolutamente intrigata e intrigante. Custodisce filedi nozioni che contribuiscono a formare la nostra personalità. Il passato che comporta il nostro modo di essere nel presente. Memorizzare per scatenare molteplici emozioni, intime quanto preziose.

 

Senza questo ‘recupero di memoria’ non si distinguerebbero le azioni legate anzitutto al gusto. Ecco Flavio Demattè aiuta a mantenere alto il livello di cognizione che – in questo caso – è anzitutto azione enoica. Il vino nel suo essere, sia come bevanda quotidiana come stimolo nel custodire la tradizione.

 

C’è il vin pìciol, chiamato acquaròl, frutto di espedienti contadini mirati a non sprecare nulla in quantità d’uva (brascà) e alleggerire il grado alcolico del vino di casa.

 

Ricordi e riti. Tutti quelli legati al ciclo della vite, pure al peccato alchemico della grappa nostrana. Tra proverbi, citazioni fonetiche nella gestione dei carri trainati dai buoi – aiza endrè, àiza ancora. Driza e zeruk - parole decisamente preziose. Che solo pensando al vino Demattè riesce a consegnarci. Proprio per non dimenticare.

 

Vino per il piacere contadino, vino che diventa ambasciatore di un territorio e quindi una identità da tutelare. E ancora: vin l’è polenta – scrive ancora Demattè – e ripercorre la gestualità del pasto rurale, le fatiche dei suoi antenati, ma incita anche al sogno, a liberare la fantasia, la curiosità legata al vino.

 

Tutto questo nel pieno rispetto dell’habitat dove alligna la vite. Che sull’Altopiano della Vigolana diventa simbolo di ecologia integrale (come scrive nella prefazione Walter Nicoletti) per creare nuove forme di economia. Coltivando nuove varietà di viti, specialmente quelle chiamate ‘interspecifiche’, che resistono alle principali malattie da muffa. Viti d’antan e piante legate alla ricerca agronomica più avanzata. Per non essere impreparati.

 

Proprio come il titolo: Nel nome del padre, della vite e del vino.

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