MoS, il vino che si dà una mossa. La passione dolomitica di due vignaioli di Lisignago
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Giovani vignaioli crescono e si danno una mossa, per interpretare al meglio le viti che accudiscono con visioni enologiche di grande respiro. Si danno proprio una mossa, anche nel nome, nella sigla che hanno scelto per caratterizzare la loro micro impresa enoica: MoS.
Sono Luca Moser e Federico Ferretti, due cugini, appena trentenni, accomunati dalla passione del vino, anzitutto dolomitico. Imbottigliano rigorosamente ‘in proprio’ solo da un paio di vendemmie. Una selezione certosina di quattro varietà, uve assolutamente identitarie, legami territoriali minuziosi, nel pieno rispetto di pratiche colturali mirate alla tutela dell’habitat.
Luca Moser, studi al liceo scientifico e laurea in enologia all’Università teutonica di Geisenheim, è di Zambana. La sua famiglia vanta impegno e strategie di promozione legate al rinomato asparago della piana delle Terre d’Adige. Questo però non impedisce ai Moser di gestire un piccolo vigneto fluviale, dove il giovane Luca – impegnato ad Egna nella cantina di Castelfeder - coltiva con rigore anche il ‘suo Pinot grigio’. Sull’etichetta compare la scritta Muripiani, ossimoro, anche per legare la piana ai muri a secco cembrani. Una scelta per diversificare la piccola seppur variegata proposta di MoS.
Perché Federico Ferretti – studi enotecnici, occupato nella gestione agricola della famiglia Foradori di Mezzolombardo - è di Lisignago e con Luca suo cugino valorizza irti vigneti di famiglia abbarbicati sulle pendici dell’oro rosso porfirico. Terreni che nulla concedono alla banalità. Per capirlo basta gustare questi altri tre vini dei MoS, rigorosamente stanziali, la Valle di Cembra nell’indole e nel timbro inconfondibile della tradizione dolomitica. In sequenza, per ordine di territorialità: Schiava, Chardonnay e Riesling. Un tris che con il Pinot grigio di Zambana consentono ai due di MoS di dare proprio una mossa ad una certa sedentarietà dell’enologia trentina.
Vini con spiccata personalità, etichetta con grafia accattivante, vinificati a Lisignago, in una microscopica struttura, una sorta di ‘caveau’ per rarità, sicuramente senza nulla concedere alla quantità. Imbottigliano appunto neppure 6 mila bottiglie in tutto, ma con riscontri decisamente emozionali.
Anzitutto – nella mia goduriosa quanto personale graduatoria - con il Riesling, vitigno d’altura, le sfide a portata di sorso, per un bere altrettanto verticale, simbolico, assolutamente montanaro. Salinità e un turbinio aromatico mai invadente, vino di e per la pazienza, che non ha bisogno di darsi una mossa, anzi: l’ulteriore affinamento in bottiglia lo valorizzerà ulteriormente.
Non da meno è lo Chardonnay, con il distintivo Tesadro (è il soprannome della famiglia Ferretti) per innalzare l’attenzione verso un vino/vitigno di stampo internazionale e che difficilmente tradisce il vignaiolo più sagace e altrettanto appaga il degustatore più accorto.
Che dire: pure la Schiava ha nerbo indomito, con una spontanea scorrevolezza, quasi da vino beverino, nonostante un buon tenore alcolico e una gentile sfumatura rosacea. Forse è da questa sua versatilità che ha il rafforzativo Parase, ovvero ‘pararsi la sete’.
Chiude, ma non è considerazione minimamente irriguardosa, il Muripiani Pinot Grigio. Con quel tanto di classico sentore di pere montanare, sapore pieno, quasi croccante nella sua transazione ovvero anche tra i turioni delle asparigine il vino può essere buono. Basta avere la passione di questi due vignaioli. Che si sono davvero dati una mossa. Lanciandosi verso sicuri gustosi traguardi.