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''Man'', tre versioni di Trentodoc dal Brut al Nature al Rosè: spumanti ‘in proprio’, fatti ‘in casa’ e la manualità come valore aggiunto

Un duo, marito e moglie, Mattia Clementi e Anita Pellegrini, che senza alcun clamore propongono con sincerità le prime bottiglie delle tre versioni di Trentodoc. Mi soffermo (per ora) solo sul Rosè, degustato in una giornata che precede l’assurda quanto ostentata foga enogastronomica del Natale
DAL BLOG
Di Ades, by Nereo Pederzolli - 19 dicembre 2021

Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia

Classico, in tutto e con l’importante aggiunta di un tocco di familiarità: l’accorta manualità dei due vignaioli. Un duo, marito e moglie, Mattia Clementi e Anita Pellegrini, che senza alcun clamore propongono con sincerità le prime bottiglie delle tre versioni di Trentodoc: il tradizionale Brut, l’intrigante Nature e un Rosè di schietta padronanza e altrettanta versatilità.

 

Duo ‘trentodocchista’ che per simbolo ha messo in etichetta il profilo di una coppia di merli, appollaiati sulla lettera ‘M’ e sulla ‘A’, vale a dire Mattia e Anita. A completare il ‘marchio aziendale’, con stringata essenzialità, alle due lettere iniziali del loro nome hanno aggiunto una ‘N’. Ed ecco MAN, ‘microscopica’ maison in quel di Verla di Giovo, in una valle di Cembra che ancora una volta dimostra tutta la sua indomita vigoria vitivinicola.

 

Il marchio racchiude però anche altri legami, non solo quelli inerenti una gestione assolutamente manuale. I due merli nel logo aziendale omaggiano pure le loro due giovanissime gemelline Chiara e Ilaria. Insomma, una famiglia davvero ‘alla mano e sincera’. Manuale la vendemmia delle uve destinate a caratterizzare i vini ‘vivaci’, manuali tutte le rigorose, lente quanto precise tecniche di cantina finalizzate a ‘rigirar’ le bottiglie per far adeguatamente rinascere le base spumante custodite nel vetro. E ancora. MAN per il senso d’ umanità che il buon vino deve stimolare.

 

Mattia Clementi è un giovane enologo con radici saldamente cembrane. Le stesse di sua moglie Anita. Lui può vantare importanti esperienze maturate in alcune cantine trentine, coadiuvato nella sua opera enologica pure dalla moglie, esperta in burocrazia vitivinicola. Un mix d’esperienze che li ha spronati a fondare MAN. Spumanti ‘in proprio’, fatti davvero ‘in casa’, la manualità come valore aggiunto.

 

La prima vendemmia ‘spumantizzata’ è del 2017. Con questo millesimo è appena uscito il loro Nature, pronto a sfidare con determinazione un proficuo ulteriore affinamento in bottiglia. Sull’etichetta degli altri due spumanti si fissa invece 2018, data doverosa per bollicine di agile beva. Cinquemila bottiglie per tipologia, in attesa che maturino in cantina un esclusivo Pinot nero Nature e una mirata selezione destinata ad essere ‘sboccata’ tra qualche lustro.

 

I primissimi assaggi confermano le intuizioni di questi giusti, onesti ‘manipolatori’. Mi soffermo (per ora) solo sul Rosè, degustato in una giornata che precede l’assurda quanto ostentata foga enogastronomica del Natale.

 

Petaloso - proprio come l’aggettivo riconosciuto recentemente dall’Accademia della Crusca - nel suo rosa delicato, al naso sprigiona ogni timbro aromatico di questa tipologia, dai sentori di fragola al miele d’acacia, esaltando la forza delle uve Pinot nero che lo generano ( al 70%) assieme ad una cuvèe con l’immancabile Chardonnay. Fragrante nei toni che chiamano alla mente - e al palato - il succo del melograno e gentili spruzzi agrumati, con un finale - e questa penso sia l’indomita classe di questo Rosè - una chiusura vagamente pepata, stile Sarawach. Che dire, un plauso - o meglio -un applauso. A piene mani.

 

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