La classe dei diplomati nel '74: vignaioli ed enologi che hanno rivoluzionato il vino in Trentino e nessuno aveva una famiglia di produttori alle spalle
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Una classe speciale, che scardinerà obsolete concezioni viticole, rivoluzionando gran parte del panorama del ‘far uva per far vino’, non solo trentino. Perché nell’elenco dei diplomati compaiono nomi di assoluti interpreti del buon bere, oggi vignaioli e imprenditori di successo, pure docenti, accumunati da una data: 1974, un secolo dopo il primo anno della scuola fondata da Edmund Mach. Già perché se la scuola enologica vanta 150 anni di storia loro possono orgogliosamente festeggiare il 50esimo dal diploma di enotecnico all’allora Istituto Agrario di San Michele all’Adige, oggi Fondazione Mach. .
I loro nomi sono spesso osannati dalle bibbie enoiche, nei corsi di studi enologici e compaiono su milioni e milioni di bottiglie di vini decisamente griffati. Perché possono già vantare di avere ben 50 vendemmie alle spalle. Tutte - e questa è la singolarità - avviate appena ottenuto il diploma. Nessuno di quella classe aveva una famiglia strutturata nella produzione vitivinicola. Hanno iniziato loro, in sordina, quasi per scommessa. E hanno raggiunto vertici come raramente capita di notare tra i tanti - validissimi- diplomati di San Michele all’Adige.
Ecco allora la ‘pattuglia’ che ha trasformato un sogno giovanile in un concreto Atto Agricolo, con il vino d’autore come vessillo. Personaggi noti, anzi, per certi versi una sorta di enostars, altri operativi senza clamore, ma ugualmente interpreti vinosi, orgogliosi di aver mantenuto stretti legami con i compagni di scuola di quel mitico corso. Tutti accumunati da uno spirito ‘ di vino’. Elenco stringato, ma importante, per graduatoria di successi, fama o semplice impegno.
Partiamo con Mario Pojer e Silvio Jermann, per poi legare al sodalizio enologi come Salvatore Maule, Francesco Polastri, Domenico Pedrini, Renzo Grisenti, citando ulteriormente (vedremo perché) Peter Dipoli e Roberto Zeni. Tra loro anche Armando Baldo (attivo dai Bossi Fedrigotti) e Paolo Pavana, vignaiolo ad Avio, due tecnici purtroppo precocemente strappati dal connubio vite-vita.
Ecco nel dettaglio una scheda descrittiva.
Mario Pojer è l’istrionico vignaiolo che a Faedo, con Fiorentino Sandri - tenace viticoltore, mastro distillatore - ha formato il duo forse più blasonato del vino italiano. Quel Pojer&Sandri, azienda innovativa, tra le prime a valorizzare il Mueller Thurgau, rendendo esclusiva addirittura la modesta quanto umile Schiava, per poi vinificare varietà insolite (Rotberger), pure uve di piante resistenti alle malattie fungine (le PIWI) dando il via a vini briosi, freschi, di pronta beva e altri destinati all’invecchiamento, compreso il raro Perpetuo. Sperimentando tecniche di coltivazione, viti in alta valle di Cembra (Grumes) e vinificando le uve dopo un singolare lavaggio, per togliere qualsiasi inquinante. Senza tralasciare lo spumante, sopraffini brandy e altrettanti aceti di vino e di frutta. Nozioni enologiche imparate a scuola, applicate con estro e maestria.
Stessa la visione di Silvio Jermann, friulano d’origine, ‘sanmicheloto’ per formazione, cantiniere a Villanova, quasi sul confine con la Slovenia. Eclettico imprenditore, stretti legami con le zone del Collio, per dar vita e vini dal fascino universale. Il suo Vintage Tunina, dedicato nel nome alla famosa amante di Casanova, primeggia sulle carte-vino di ristoranti di fama internazionale. Vini di classe, consumati dai più esigenti. Ritenuti piacevoli nella loro esclusività, freschi e di grande lunghezza gustativa. Vini ‘da sogno’, come il Dreams, uve Chardonnay, vino che riesce a sfidare i più rinomati Borgogna. E ancora.
Con il suo compagno di banco Mario Pojer è tra i promotori nazionali dell’uso dei tappi a vite, sostitutivi del sughero, per salvaguardare aromi e impedire strambe puzze.
Hanno imparato il vino a scuola e uno di loro è tornato nella sua scuola per insegnare il vino a schiere di promettenti cantinieri. E’ stata la mission di Salvatore Maule, famiglia di Aldeno, enologo didattico per antonomasia e nel contempo operativo tra nascenti aziende vinicole. Ha trasferito saperi ai giovani, operando come specialista nella tecnica per rendere spumeggiante il vino.
Girovago quanto minuzioso tecnico di cantina è poi Francesco Polastri, attivo in diverse cantine sociali (Gruppo Cavit) e tra le botti di aziende extraregionali, in Franciacorta, pure in Abruzzo. Sempre in contatto - per scambi di opinioni, simposi di degustazione e riunioni vinose - con ‘quelli del ‘74’. Invece Domenico Pedrini è rimasto ancorato ai vigneti del suo paese natio, Lasino. Subito finita la scuola ha convinto due suoi compaesani a fondare la Pravis, azienda vitivinicola che ora sta terminando la sua 50esima vendemmia. Pedrini è stato il primo a sperimentare la coltivazione delle uve PIWI, il primo a vinificarle in purezza, coinvolgendo nel progetto -inizialmente ‘sotto traccia’ - proprio alcuni suoi compagni di scuola. Nel contempo ha potenziato l’azienda, costruendo una cantina ai piedi di Castel Madruzzo, gestita assieme a Gianni Chistè e Mario Zambarda. Azienda che ha recentemente attuato un deciso cambio generazionale: i tre soci fondatori hanno affidato ogni gestione vitivinicola ai rispettivi figli - tutti diplomati o laureati proprio alla Mach. La Pravis è nota per aver vinificato in botti d’acacia l’uva Nosiola, per una produzione di vini da varietà antiche (Negrara) pure per aver accudito minuscoli appezzamenti vitati sorretti da muri a secco (le frate), sistemati verso il lago di Cavedine.
Dunque classe intraprendente, che ha fornito importanti consulenti a tante micro cantine.
Renzo Grisenti detto Brisa è l’enologo che ha spronato alcune aziende a scommettere sulla viticoltura della Valsugana, la sua valle natia, ottenendo risultati d’assoluto pregio, dimostrando come lo studio e la passione per il vino possano portare a risultati fino a qualche decina d’anni fa impensabili.
‘Quelli del ‘74’ hanno coinvolto pure un compagno di classe che aveva optato per il diploma in frutticoltura: Peter Dipoli, rimasto sempre in simbiosi con la sua originaria classe scolastica. Non a caso ha affidato ad altri la sua azienda frutticola di Ora, trasformando poi il ripido pendio di Penone e i filari che sovrastano Cortaccia in giardini vitati. Vendemmia uve Sauvignon, Merlot e Cabernet per vini sopraffini, vinificati nella suggestiva sua Weingut di Egna. Il suo motto è perentorio, vulcanico, energico, deciso come il suo carattere: No Facebook, No Twitter, solo Vino. Perentorio, in sintonia con lo spirito dei fidati compagni di scuola.
E Roberto Zeni di Grumo (San Michele all'Adige) che con l'azienda esalta le varietà autoctone attraverso alcuni concetti fondamentali: il terreno come elemento in grado di conferire la vera anima dell’uva e quindi del vino; la figura del vignaiolo in grado di trasmettere e valorizzare quello che il connubio uomo, terra e vite è in grado di offrire; una vinificazione attenta e puntuale in grado di valorizzare le caratteristiche varietali delle uve oltre che un affinamento ragionato in grado di evolvere il vino arricchendolo di profumi terziari.
Dieci lustri di tempo che davvero danno lustro al vino, con questi importanti ex-allievi protagonisti. A 150 anni di distanza, il fondatore Edmund Mach sarebbe orgoglioso.