Il vino mosso è in crescita e il Festival del Trento Doc punta sul legame tra viticoltura e territorio che affonda le radici nell'antichità
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Il tripudio dei calici alzati, branditi come trofei, già aleggia su Trento. Del resto la briosità di un Festival dedicato alle bollicine vinose non può essere "smorzato". Per questioni di sponsor, del budget investito dalla Provincia di Trento, per questioni legate pure agli sforzi di quei vignaioli, cantinieri o caparbi imprenditori vinicoli puntano non solo sulla principale denominazione d’origine dello spumante dolomitico: Trento. Senza l’aggiunta della parola Doc.
Indagini di mercato e una diffusa propensione al "bere brioso" confermano la costante ascesa dei vini mossi con Trento nel nome. Un vanto che dovrebbe pure omaggiare i legami della città con il vino. Una storia decisamente suggestiva quanto ancestrale.
Trento con la vite ha legami che risalgono al Neolitico. Lo confermano scavi archeologici - alla Vela, pure sulla collina che porta a Martignano, nel cosiddetto Riparo Gabàn - e tutta una serie d’indizi. Vite sfruttata per fermentati di pappe e bevande a tenori alcoolici piuttosto bassi, con altre bacche come il corniolo, il sambuco, la mora di rovo. Tempi remoti dunque, tra altrettante contaminazioni, migrazioni di popoli, scambi di colture che diventano culture. Con gli Etruschi a scandire la cura della vite. Anche tra le Dolomiti.
Lo dimostra un fondamentale ritrovamento (nel 1825) di una situla, forse di origine retica, un vaso per uso rituale, risalente all’età del Ferro e scovato presso Faver, sul Dos Caslir, in Val di Cembra.
In età Romana il Trentino Alto Adige diviene ufficialmente il territorio di riferimento per la produzione del famoso vino Retico, apprezzato nell’antichità dalle tavole degli imperatori e valutato al pari del Falerno, forse il più noto dei vini consumati in epoca romana. Vino prodotto secondo quanto testimoniato da Plinio e Virgilio dai Reti e menzionato anche da Caio Svetonio Tranquillo, biografo latino vissuto tra il 70 e il 126 d.C.
È un periodo felice per la viticoltura trentina con esportazioni, soprattutto verso le terre germanofone, floride al punto che a Passau, in Germania, nella Baviera orientale nel 1981 nel letto del fiume Inn, a poca distanza dalla sua confluenza nel Danubio viene ritrovata una lapide funeraria ( II-III secolo d.C.) dedicata a Publio Tenatio Essimus, cittadino di Trento, commerciante di vini nella Raetia.
Costui, morto a 57 anni, di professione era mercante di vini, e aveva la residenza ufficiale a Trento [“D(is) M(anibus)/P(ublio) Tenatio Ess/imo, negot/ianti vinar/iario, domo/Iulia Triden/tum, (obito) anno(rum) LVII/P(ublius) Tenatius Pater/nus patri/pientissimo/fecit”]. Su entrambi i fianchi del cippo è rappresentato un personaggio maschile tra botti e attrezzi connessi con la degustazione del vino.
Ecco perché il legame con Trento è decisamente enoico. Senza alcun dubbio. L’imminente Festival con il rafforzativo Doc nel nome della città potrà essere ulteriore stimolo per riscoprire legami, per condividere progetti, per altrettante bevute conviviali. Brindando all’altrettanto saga festivaliera del prossimo ottobre: Autumnus. Ne riparleremo.