Il Musivum come stimolo per ripensare un design legato al vino Trentino tra tutela della Doc, delle cantine cooperative e dei vignaioli per salvaguardare il concetto più autentico di territorialità
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
Un mosaico di rumors, per un vino appena proposto, riservato ad una fascia di bevitori (figura diversa dalla più unanime categoria dei "consumatori accorti") che scelgono senza troppo badare a quanto si ha in tasca. E mirano ad appagare una bramosia che mette nell’angolo tante (troppe) suggestioni enoiche, per scoprire qualche chicca, anche se - e in questo caso "specialmente" - proposta da cantine dove spesso il troppo stroppia, le quantità in sinergia con le alte remunerazioni ai soci conferenti, per un vino quotidiano scevro dalle genuflessioni di critici orientati solo ad osannare l’esclusività. Dimenticando che il vino - tutto il vino - è anzitutto una bevanda, frutto dell’intelligenza umana, ottenuto per esaltare l’identità del territorio dove maturano le uve, dove i viticoltori prima e i cantinieri poi lo rendono a "prova di bicchiere".
Un vino non è solo il semplice prodotto di una filiera enologica, ma anzitutto un concentrato di fatiche, storie, sfide, intraprese dalle persone che l’hanno accudito in altrettanti specifici siti, tra terra, clima e la variabilità vendemmiale, tutti fattori che lo rendono unico.
Polemizzare sull’esiguo numero di bottiglie del Musivum in questione - il Teroldego Rotaliano 2016, neppure 5 mila esemplari - e del suo prezzo impegnativo, sminuisce sia il ruolo dell’azienda produttrice che il lavoro di quanti nel vino rosso rotaliano per antonomasia investono in dedizione, cura viticola, azioni di tutela e di promozione (Qui articolo). A prescindere dalle dimensioni aziendali e dalle quantità di ettolitri di vino messo in commercio.
Ecco perché la presentazione del Teroldego Musivum potrebbe essere lo stimolo a rilanciare tutta una serie di questioni, legate alla tutela della Doc, al ruolo delle cantine cooperative, quello dei vignaioli e salvaguardare il concetto più autentico di territorialità.
Ad esempio pensare al rafforzativo della definizione "Rotaliano". Magari chiamando solo con questo termine le produzioni più rappresentative, quelle decisamente legate al Giardino vitato più suggestivo d’Europa, come lo definì Goethe. Optando poi con altri ulteriori rafforzativi al Rotaliano, citando toponimi dei vigneti dove si coltiva, il legame con la storicità, le dinastie e tutto quanto è relativo all’habitat. Un cambio radicale nella denominazione, tutto da discutere, da definire anche in termini legislativi. Lasciando la definizione Teroldego rotaliano solo alle vinificazioni più pop, destinate alla grande distribuzione, al consumo quotidiano.
In questo modo si potrebbe coinvolgere tutto il comparto vitivinicolo del Trentino. Diversificando i vini da uve teroldego su più livelli: Rotaliano, poi Teroldego rotaliano e - per i fuori zona - Teroldego trentino o Dolomiti.
E ancora: al Rotaliano si potrebbe abbinare il toponimo del vigneto, nomi tipo Bagolari, Grumo, Sgarzon, Scari e tanti altri. Aprendo ad una nuova frontiera di promozione. Dove la bellezza dello scenario viticolo diventa stimolo alla degustazione. Per un turismo progettato con lo sguardo del domani, destinato a sfidare il tempo, con le specifiche peculiarità del vino.
Il Campo Rotaliano potrebbe diventare un vero ‘laboratorio di bellezza’, con servizi ( quelli che scandiscono il marketing) che tracciano un virtuoso modello di sviluppo, coinvolgendo ogni comparto locale, trasformando la zona in un vero sistema promozionale. Condividere e nel contempo rispettare la singolarità dei soggetti, rispettando la qualità diffusa, sulle opportunità che il paesaggio viticolo mette a disposizione.
Molti strateghi insistono sul concetto della "bellezza come atto agricolo", applicando le proposte come "terapia del paesaggio", in uno scambio sinergico tra idee e manualità. Quelle che si possono riscontrare proprio nel vino autenticamente "di territorio". Bere è sicuramente un gesto agricolo se noi educhiamo il bevitore a vedere nel bicchiere la bellezza del paesaggio.
Sono le concatenazioni, tra ideali e praticità che riescono a imprimere e innalzare il valore del vino. Non i campanilismi o sterili contrapposizioni tra produttori. Il neonato Musivum ( senza tralasciare altri validissimi vini proposti da potenti cantine cooperative ) potrebbe stimolare tutto il comparto vitivinicolo trentino a impostare una sorta di "design di eno territorio", per accostare il micro con il macro, il singolo con la comunità. Insomma, per dirla con i filosofi più moderni, il miglior modo di predire il futuro è crearlo.