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I vini Moser puntano sulla qualità del prodotto e sull'immagine, nuova linea per le etichette firmate dall'artista Paolo Tait

DAL BLOG
Di Ades, by Nereo Pederzolli - 16 novembre 2022

Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia

Un Teroldego fuori linea, ma decisamente d’autore. Diverso perché lontano dal Campo Rotaliano e nel contempo indomito interprete del vitigno ritenuto "stanziale" proprio dei terreni dove il Noce confluisce con l’Adige, il Monte di Mezzocorona che argina le folate del vento benefico (l’Ora del Gara) e crea una sorta di dolina, per favorire splendide maturazioni delle uve. Insolito perché vinificato alle porte di Trento, sulla collina di Gardolo, dove la famiglia di Francesco Moser dal 1988 ha trasformato il colle boschivo in una tenuta vitivinicola di bell’aspetto oltre che di grande valore. Enologico e dure estetico. 

 

Un loro vino rosso a base di uve Teroldego ha un nome importante: Rubro. Ma è altrettanto inconsueto per l’estro e la maestria dell’autore che ha curato l’etichetta: Paolo Tait, istrionico artista, radici sinceramente rotaliane e una visione pittorica che spazia oltre ogni barriera.

 

Così i Moser - il campione Francesco, ma soprattutto suo figlio Carlo e il loro stretto indispensabile parente, l’enologo Matteo, Diego il padre - altro rampollo della dinastia dei "pedalatori per eccellenza" - hanno nuovamente tagliato un traguardo importante nella loro oramai vincente scia del buon bere.


(Foto di Daniele Mosna)

Spumantisti di razza - un loro Trentodoc ha nuovamente ricevuto i Tre Bicchieri del Gambero Rosso - non hanno mai smesso di valorizzare i vitigni destinati ai fermi. Quelli a bacca bianca (il loro Moscato giallo è un prototipo, come il Riesling) ma pure il Teroldego. Che non può essere annoverato tra i Doc del Rotaliano, in quanto fuori zona.


(Foto di Franz Perini)

 

In compenso hanno coinvolto nel loro progetto un rotaliano di nascita e di fatto, appunto Paolo Tait. L’artista ha creato un’etichetta d’autore, rivisitato il marchio aziendale, con il rafforzativo Warth e coinvolto i Moser in una sfida qualitativa che guarda oltre il bicchiere, che supera l’immagine stessa che compare sulla bottiglia "teroldeghista".


(Foto di Franz Perini)

Il Rubro si presenta con un colore impenetrabile, intenso e scuro, con riflessi violacei ancor giovanili. Tocco floreale al naso, olfatto nitido in una purezza di grande espressività, con nuances di frutta (ciliegia, maraska, pure melograno) sotto spirito, leggermente speziato e con cenni di balsamico, incenso. Deciso al palato, caldo e avvolgente seppur giustamente acidulo, ma di bella rotondità. Un vino che ritma tra succulenza e giovialità di beva in una sensazione - per dirla alla Tait - di materica espressività.

 

Ecco allora il ruolo dell’artista, Paolo Tait che ostenta tutta la sua innata irruenza, una vena pittorica dove energia e forza del segno sviluppano emozioni. La potenza sprigionata dal suo tratto si afferma come motivo conduttore in tutti i suoi linguaggi, e la sua opera diventa sintesi di una narrazione complessa e articolata, volutamente aggressiva. Per scandire modalità arcaiche di rappresentazione della Natura, tra contrapposizioni e arditi confronti. Proprio come stimola l’assaggio del Rubro, in sinergia simbolica per esaltare tutto quanto è fantasia, sogno, curiosità. Come quella che si può ri-scoprire nel buon vino. 

 

Onore ai Moser, che anche con Paolo Tait, spronano progetti enoici dove la bellezza diventa atto agricolo, attraverso una "terapia vinosa" che interagisce tra pensieri e mestieri apparentemente diversi, per generare un ‘design’ di rapporti, ibridare differenti esperienze. Rubro come "progetto", per condividere il micro con il macro, il locale col globale, il singolo con la comunità, la Natura con la tecnica.

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