I grappoli d’uva ancora acerbi diventano l'Agresto, Pojer&Sandri riscoprono una produzione ultramillenaria
Cercherò di stuzzicare curiosità e piacevolezze. Lasciando sempre spazio nel bicchiere alla fantasia
I menù di queste ore abbondano in dolcezze. Per vocazione insita del Natale, perché bontà e auguri sono in simbiosi. Ma si può essere contenti anche con qualcosa di acido? Gustare il cibo delle feste accostandolo a qualcosa d’insolito? Ecco una stimolazione gastronomica assolutamente inconsueta: quella di usare l’agresto. Mai sentito? E pensare che è una produzione ultramillenaria.
I Romani lo chiamavano ‘Omphacium’ e il procedimento per ottenerlo è e rimane quello di quei tempi: raccogliere (o recuperare) i grappoli d’uva ancora decisamente acerbi. Chicchi immaturi esposti alle intemperie estive, da pigiare per ottenere un mosto, appunto l’agresto.
E’ una sorta di salsa da usare per insaporire - ma anche per mascherare difetti - specialmente pesci e carni. Procedura doverosa in quanto allora non erano entrati ancora in funzione i frigoriferi.
Così l’agresto era stato relegato nei ricordi. Fino alle recenti stagioni della pandemia. Quando Mario Pojer, istrionico vignaiolo di Faedo, ha recuperato il metodo ancestrale per ottenere questo ‘Omphacium’ decisamente Made in Trentino.
Lo ha prodotto - in maniera artigianale, ma con minuziose tecniche frutto di sagacia enologica - sfruttando grappoli immaturi o acini preventivamente tagliati ancora verdi per migliorare lo sviluppo delle uve. Una vendemmia verde, mirata a trasformarsi in una acidula prelibatezza. L’agresto è presente nei ricettari dell’Artusi (ricetta di piccione in umido) e nelle pietanze medievali, in stimolanti proposte di cucina rigorosamente vegetale, specialmente tra i cuochi francesi - lo chiamano ’verjus’ - o quelli d’oltreoceano, dove trova impiego come ‘verjuice’.
Mario Pojer assieme al suo storico socio Fiorentino Sandri lo ha messo in bottiglia seguendo una procedura legata al loro progetto Zero Infinito, vale a dire sfruttare uve da colture e piante che nulla hanno da spartire con la chimica.
Produzione sperimentale, con ottimi riscontri. Perché l’agresto stimola innovative performances gastronomiche, coinvolge cuochi di mezzo mondo in accostamenti e migliorie gustative supportate dall’acidità inconfondibile di questo succo acido da ime immature.
Agresto che il duo Pojer&Sandri viene prodotto a impatto chimico praticamente zero. Con una tecnologia di cantina da loro studiata riescono a concentrare il mosto, sottovuoto e a basse temperature attorno ai 25 gradi, togliendo quasi il 50% d’acqua. Per avere un succo acido molto sapido, inconsueto e per certi versi impensabile. Una via di mezzo tra il succo di limone e un tradizionale aceto di vino.
Si può usare per mitigare la grassezza di qualche condimento, senza tralasciare l’escamotage di mixarlo con olio extravergine d’oliva, ma anche da diluire con acqua, per una bibita dissetante. Oppure con certi acolici - gin in primis - o cocktail variegati. Insomma, nella dolcezza - spesso stucchevole - del Natale, anche l’agresto trova spazio.