Glifosate, la Provincia ne vieta l'utilizzo già dal 2018 ma per gli esperti resta il sistema di diserbo meno impattante a livello ambientale e economico
Secondo gli esperti Ferrari e Curzel, l'erbicida più usato al mondo è troppo demonizzato. Altroconsumo: "La campagna per il no non vede i rischi delle alternative"
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TRENTO. Un 'no' deciso, quello del Trentino al glifosate. L'erbicida più usato al mondo potrebbe essere bandito dalle coltivazioni del nostro territorio già nel corso del 2018. Ma è davvero la soluzione migliore? Le alternative quali sono?
La rinuncia all'utilizzo di sostanze a base di glifosato "potrà avvenire solamente grazie a tecniche di diserbo meccanico", aveva annunciato l'assessore della Pat Michele Dallapiccola in occasione della conferenza stampa di presentazione di AgriAcma, la fiera delle macchine agricole che si tiene in questi giorni (dal 2 al 4 marzo) al quartiere fieristico di Riva del Garda.
Ma non tutti sono d'accordo. O meglio, non tutti trovano che ci sia un'alternativa meno dannosa all'utilizzo di sostanze a base di glifosate in agricoltura. Sostanze che siano meno nocive e impattanti a livello economico ma, soprattutto, ambientale e sulla nostra salute.
La principale causa di rinuncia da parte della Provincia d Trento? I presunti danni alla salute causati dal glifosate. Ma, se cerchiamo di fare un po' di chiarezza, emerge che l'alternativa della Pat non sia ideale sotto molti punti di vista.
"Nessuno ha dimostrato - ci spiega Giancarlo Curzel, dottore agronomo esperto di frutticoltura a livello internazionale - che il glifosate è tossico. La proposta dell'assessore risulta molto più impattante rispetto all'uso del glifosate in termini di costi economici ma anche ambientali, calcolando l'impiego di macchinari, l'immissione di Co2 e il fatto che non sia ideale per la pianta".
Secondo il Circ (il centro internazionale per la ricerca sul cancro), in laboratorio il glifosato provoca danni genetici e stress ossidativo (l'eccessiva produzione di radicali liberi, ndr), ma negli studi nell'uomo la cancerogenicità non è stata ancora dimostrata con assoluta certezza. Il 20 marzo 2015 l'ha inserito nella lista dei "cancerogeni probabili". Da allora, identificato come la peste nera insieme alla Monsanto, la multinazionale che dal 1991 conserva l’esclusiva sul marchio, ma non sulla molecola che è divenuta libera.
"Eliminare il glifosate è una moda. E' uno dei meno velenosi tra i fitofarmaci. Lo dimostra anche il fatto che la stessa Unione Europea abbia rinnovato di cinque anni l'autorizzazione alla produzione da parte della Monsanto. Ci vuole una buona dose di buonsenso e evitare le esagerazioni. Bisogna evitare di confondere la tecnica e la corretta biologia con l'ideologia".
"Per eliminare il glifosate - continua Ferrari - occorre un'attenta lavorazione con strumentazioni precise". Difficile da applicare, come ci si può facilmente immaginare, su terreni ripidi come quelli dei vigneti in Val di Cembra. Bisognerebbe tornare alla zappatura manuale.
Altroconsumo, l'associazione per la tutela e la difesa dei consumatori, ritiene che la campagna contro il glifosato non tenga conto dei rischi delle alternative.
Nove euro per diserbare un ettaro, a dimostrazione dell'economicità di quest'erbicida. La ragione del prezzo stracciato sta nel brevetto della Monsanto, che è scaduto da oltre sedici anni. Il produttore più influente al mondo è la Cina, ma il Ministero della Salute italiano ha registrato oltre 350 prodotti in patria. "E' come un farmaco generico - recita un articolo di Roberto Defez, primo ricercatore di genetica e biofisica del Cnr di Napoli, sul mensile di Altroconsumo - e non mi stupisce che le aziende del settore facciano di tutto per denigrare un prodotto così economico e per vantare le doti dei loro prodotti alternativi di tutte le aziende del settore, guarda caso più costosi e guarda caso sotto loro brevetto".
Lo stesso articolo spiega che l'acido citrico contenuto nel limone presenterebbe il doppio della tossicità per l'organismo rispetto al glifosate. "Nessuna sostanza è innocua per l'ambiente o per la nostra salute: un bicchier d'acqua disseta, un metro cubo ammazza".
"Le nostre analisi – spiega Alice Rovati, rappresentante trentina di Altroconsumo -, condotte su 68 campioni di pane integrale acquistato in sette città italiane hanno rilevato tracce di questo erbicida in poco più della metà dei campioni analizzati. Ma la buona notizia è che i livelli riscontrati sono sempre abbondantemente sotto la soglia di sicurezza stabilita per legge per questo residuo, e questo anche nel caso massimo".
"Se l’alternativa - conclude il ricercatore - è più virtuosa cambieremo, fino a quel momento meglio tenersi stretto il glifosate".