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Attualità

"Per il Governo Italiano, per i padroni, Erto è come l'Abissinia: terra di conquista". La memoria può essere uno strumento importante per il futuro dei territori montani

A 60 anni dalla tragedia del Vajont ci si domanda se i rapporti di forza tra pianura e montagna siano gli stessi, se possiamo parlare ancora di colonialismo per le grandi opere (come la diga del Vanoi o la pista da bob di Cortina d’Ampezzo), se la nazione “che conta” esclude anche oggi i territori montani. ​Per provare a capire cosa significa rileggere Tina Merlin nel nuovo millennio, ci siamo confrontati con Irma Visalli (vice presidente dell’Associazione Tina Merlin)

di
Michele Argenta
10 agosto | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

“Non li sfiora minimamente l'idea, a questi dirigenti ben pagati, a questi consulenti da parcelle universitarie, che il popolo di Erto viene depredato di tutto: del l'acqua, della terra, della casa, del suo passato e della sua cultura, forse anche del suo avvenire, per questo monumento alla tecnica e alla scienza che qui si vuol costruire, che arricchisce solo gli azionisti del monopolio, che svilupperà - per stare dentro alla logica produttiva - certamente la nazione, alla quale in questo momento gli ertani non appartengono. La nazione «che conta» si trova in zone già sviluppate - Marghera, Milano - che devono ulteriormente progredire sulla pelle dei poveri diavoli di montanari, che in virtù di chissà quale maledizione sono sempre chiamati a dare tutto senza mai una contropartita. Per il Governo Italiano, per i padroni, Erto è come l'Abissinia: terra di conquista”.

 

È il 1983 quando questo testo fu pubblicato in un libro dal titolo “Sulla pelle viva”, scritto dalla giornalista Tina Merlin. Dopo 41 anni ci si domanda se i rapporti di forza tra pianura e montagna siano gli stessi, se possiamo parlare ancora di colonialismo per le grandi opere (come la diga del Vanoi o la pista da bob di Cortina d’Ampezzo), se la nazione “che conta” esclude anche oggi i territori montani. 

Per provare a capire cosa significa rileggere Tina Merlin nel nuovo millennio, Irma Visalli (vice presidente dell’Associazione Tina Merlin) ha risposto ad alcune nostre domande.

 

Dopo 60 anni della tragedia del Vajont ritorniamo a parlare di invasi in provincia di Belluno. Cosa abbiamo dimenticato e invece cosa abbiamo imparato quando si parla di grandi infrastrutture e di partecipazione pubblica?

 

“Il tema della partecipazione (afferente a ciò che lamentava Tina sulla modalità di coinvolgimento delle persone nel progetto del Vajont) è stato oggetto di discussione per 60 anni e in questi decenni ci sono state delle evoluzioni sull'obbligo del dibattito nella progettazione delle grandi opere che presentano una complessità tecnica notevole. Quello che preoccupa, come nel recente caso del Vanoi, è che i processi partecipativi si applichino a posteriori quando dovrebbero essere fatti durante la stesura della VAS (Valutazione Ambientale Strategica) e della VIA (Valutazione di Incidenza Ambientale). Anche in questo caso, con il Vanoi, siamo arrivati tardi

Queste opere sono spesso soggette a opposizioni tra "fronte del no” e "fronte del sì", mentre dovremmo lavorare sui perché. Perché è necessario farla e perché no, come riorientare le parti coinvolte e lavorare sui motivi per cui si presentano i progetti, chi li propone, perché, i vantaggi e gli svantaggi per le popolazioni, i territori e la biodiversità. Questi sono processi lunghi e impegnativi che si fanno raramente.

Quando la partecipazione pubblica viene effettuata su un grande tema oppositivo (anche dal punto di vista istituzionale, come nel caso dei pareri discordanti di Regione Veneto e della Provincia Autonoma di Trento sulla realizzazione dell’invaso del Vanoi), avere un quadro chiaro della situazione è problematico. E se la politica abdica al proprio ruolo di decisore (aspettando il parere dei tecnici) è un problema. 

La politica in questo caso non ha una visione chiara del futuro e non sa come utilizzare le risorse. Chiedere alla gente di partecipare quando è già invasa da molteplici opinioni polarizzate è controproducente. Per avere un’idea chiara del progetto è necessario leggere lo studio, comprenderlo e adeguare il linguaggio tecnico a un linguaggio comune e di sicuro questo passaggio non è stato fatto da chi aveva interesse ad animare il dibattito pubblico”.

 


La contrarietà al progetto del Vanoi si legge sui balconi del Primiero
La contrarietà al progetto del Vanoi si legge sui balconi del Primiero

 

In questi mesi si confrontano, erroneamente, i progetti del Vajont e il nuovo progetto del Vanoi che differiscono però su molti aspetti. Eppure nella memoria provinciale resta ancora vivo il ricordo di Longarone, tornato a galla dopo decenni dove si era cercato di rimuovere questa ferita. La memoria bellunese è pronta a ricevere altri progetti sul proprio territorio?

 

“Questa è la prima occasione vera e concreta (in provincia di Belluno) dove ricapitano delle cose che similmente ricordano la vicenda del Vajont, anche se sono due casi molto differenti. Abbiamo bisogno anche di questi progetti e di queste discussioni che possano travalicare la memoria e che la trasformino. Siamo tutti coscienti che non abbiamo imparato molto in 60 anni ma dobbiamo essere consapevoli che se succedono cose simili abbiamo l'opportunità per dimostrare come la memoria possa essere impiegata nel 2024 in un modo proattivo. Non è il tema della disgrazia che ci deve fare opposizione, ma la storia che abbiamo imparato. 

Esemplare era il fonogramma di un ingegnere alla SADE, la notte della tragedia del Vajont, che citava: “C’è stato un problema alla diga, ci sono stati dei danni a Longarone. La diga ha retto bene”: la contrapposizione di una visione tecnicistica della situazione rispetto anche a quello che sta intorno, anche ad una tragedia, emerge in tutta la sua forza. Ogni progetto deve essere vagliato con equilibrio: non ci sono mai neri e bianchi ma parliamo di grigi. Per ragionare su questo spazio intermedio dobbiamo fare in modo che la nostra “pelle viva”, che è ancora una ferita aperta, non sia utilizzata per dire “noi siamo quelli del Vajont e non vogliamo mai più questi progetti sul nostro territorio”.

Anche il presidente della Repubblica Mattarella, durante le commemorazioni di ottobre 2023, ha ricordato che la tragedia non deve essere oblio ma monito e insegnamento: il dolore del Vajont resta e non è superabile. Oggi abbiamo altri strumenti (tecnici e politici) che Longarone, Erto e Casso non hanno avuto ma bisogna ricordare che la politica non è subalterna alla tecnica e deve avere una visione chiara del proprio territorio e delle proprie comunità. La memoria si deve trasportare in responsabilità: civile, politica e tecnica”.

 

Una figura come Tina Merlin oggi cosa avrebbe da dirci oggi riguardo i rapporti pianura/montagna?

 

Anche oggi Tina potrebbe leggere questa differenza tra pianura e montagna (che si sta trasformando nel concetto di metromontagna, carico di significato ma vuoto di contenuti) e si metterebbe dalla parte di chi ha una voce apparentemente debole. Il fatto che Belluno confini con la provincia di Trento (anche riguardo alle opinioni della PAT sulla vicenda del Vanoi) ci dà un notevole vantaggio per ragionare sui rapporti pianura/montagna. Manca, nella montagna bellunese, un'autonomia decisionale dove ci sia un diritto di decisione sul proprio destino”.

 

Come nella vicenda del Vajont (ma potremo estendere questo discorso a tutte le grandi opere sul territorio italiano, da Nord a Sud), coinvolgere la popolazione locale durante la progettazione è uno dei tasselli fondamentali. La conoscenza locale del territorio ma anche i timori e le domande dovrebbero essere ascoltate e recepite da chi amministra i territori stessi che molto spesso si dimentica di avere a che fare con la complessità umana e non solo con dei voti.

Domenica 11 agosto, alla Festa dell'Unità a Belluno (Pian Longhi) ci sarà una discussione sul nuovo progetto del Vanoi dove sarà presente anche L’AltraMontagna.

 

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