Dalle isole greche al cuore delle Alpi, come il ''vino santo'' ha trovato 'casa' tra i monti del Trentino grazie a un microclima unico
Vino che custodisce il rito di vendemmie lontane, vino che soddisfa la bramosia, che trasforma tante fatiche viticole e tecniche di cantina in meritati piaceri. Due modi, due stili diversi di vinificazione, medesimo il vitigno: Nosiola. Precisa e determinante la zona d’elezione: tra le Dolomiti di Brenta, il Garda e la Valle dei Laghi
E’ il vino della rinascita, che supera la stagionalità e si trasforma in qualcosa di magico, decisamente esclusivo. Libera il sogno, rilancia la passione. Intesa come coinvolgimento sensoriale. Unico e pure bino. Due modi, due stili diversi di vinificazione, medesimo il vitigno: Nosiola. Precisa e determinante la zona d’elezione: tra le Dolomiti di Brenta, il Garda e la Valle dei Laghi, prevalentemente nel Comune di Madruzzo, sul versante che porta alle cime del Monte Bondone. Vitigno dell’amenità alpina, la montagna nell’indole.
Vino Nosiola e la sua duplice elaborazione: immediato, fragrante e di semplice beva se consumato dopo poche stagioni dalla vendemmia. Decisamente più autorevole, suadente, pastoso, passionale, longevo e pure... santo se frutto di una tecnica enologica che sfrutta la lentezza, l’appassimento delle uve, l’affinamento del vino in botti. Vino Santo: sull’origine del nome, sul perché si chiama così e sul suo significato intrinseco s’è scritto, discusso e fantasticato a lungo. Lo si farà ancora. Inesorabilmente. Perché pochi altri vini possono vantare nel nome una parola che evoca sogni, rilancia momenti di piacevolezza, soddisfa il presente recuperando il passato e – contemporaneamente – rilancia il futuro. Ecco il Vino Santo trentino è l’insieme di tutto questo, e non solo.
Contrapposizioni, sfide, piacevolezze. Scandiscono i ritmi rurali, i cicli della vite sincronizzati quasi con quelli della vita. Un vino dolce che ha la sua forza nell’acidità. Equilibrio, suadente, possente, gentilezza, vigoria, setosità. Mai monocorde. E’ il passito che ricorda il sapore dell’uva appena raccolta e immediatamente rilancia altri sentori, stimola sensazioni gustative che richiamano alla mente saperi dimenticati, custoditi, sedimentati in una memoria enoica di una minuscola comunità di vignaioli. Saperi che possono essere tramandati, scoperti e rilanciati proprio grazie all’assaggio di questo vino autenticamente trentino.
Dolce per antonomasia, e dunque indiscutibilmente buono. Del resto ha dalla sua parte anche il rafforzativo ‘santo’. Che non è una definizione di poco conto. D’accordo, probabilmente è ‘santo’ poiché le uve che lo generano sono pigiate la settimana santa, poche ore prima della Pasqua. ‘Xantos’ erano chiamati pure i vini che anticamente giungevano sulle Alpi – tramite navi veneziane – dalle isole greche, Santorini in primis, vini dolci, preziosi, forti nel grado alcolico, nella mielosa consistenza, spessi e – diciamolo pure – quasi sempre scissi nel rapporto sapore/aroma, ma lo stesso esclusivi, esotici, insoliti perché da uve lontane di grappoli maturati nel torrido caldo mediterraneo. Per secoli il fascino del vino dolce s’è basato sulle rotte mercantili dell’Adriatico.
Citazioni enoiche s’intrecciano anche con l’evoluzione della Storia della Chiesa in età bizantina. Con il ruolo del Cardinal Bessarione, umanista tra i più autorevoli, la caduta di Costantinopoli nel 1453 e il salvataggio di opere culturali che mai sarebbero giunte in Occidente. Vini compresi, che Venezia diffuse nei territori bagnati dall’Adriatico, ma pure verso le sorgenti dei fiumi che sfociavano nell’ampio Golfo della Serenissima. Probabilmente anche tra le Dolomiti, nella Conca verso il Garda, baciata dall’Ora, la brezza che consente la rinascita dell’uva fatta appassire. In uno scambio d’informazioni – e di culture del gusto – arrivate anche a Trento, per il Concilio.
Poi – complice la decadenza del Leone di San Marco, l’espansione spagnola, il successivo sviluppo di Abbazie, conventi e monasteri in zone vitivinicole già vocate – s’è intuito che il vino dolce si poteva ottenere anche da viti ''dolomitiche'', coltivate in determinate zone, colture basate su culture specifiche, saperi contadini, intuizioni tra torchi, tini e botti, l’interpretazione dell’andamento stagionale. Sfruttando non solo il sole che bacia i grappoli, ma soprattutto il vento, l’aria, il microclima. Proprio così: è il clima che consente o no l’appassimento delle uve per vini dolci. Quelle che subito dopo la vendemmia devono concentrare gli zuccheri nei chicchi, trasformando lentamente gli acini, brutti da vedere, ma pregni di carattere, di sostanze indispensabili per poter far nascere il ‘passito dei passiti’, appunto il Vino Santo trentino.
Vino che custodisce il rito di vendemmie lontane, vino che soddisfa la bramosia, che trasforma tante fatiche viticole e tecniche di cantina in meritati piaceri. Intimi, poiché riservati, gelosi – o meglio: golosamente – cercati. Fatiche e speranze. Pochi altri vini hanno radici così profonde nell’esperienza viticola del Trentino. Perché è facile fare vino dolce in terre calde, dove la vite è pianta quasi spontanea. Diverso è invece interpretare l’uva coltivata per sfida, per mettersi alla prova, esaltare legami inscindibili tra uomo-vite-territorio. Il Vino Santo trentino è una concreta conferma di questa assoluta triangolazione. Vino di un luogo, di una sola varietà d’uva, ‘baciato’ da un clima esclusivo.
Ecco perché – e questa è l’ipotesi di un progetto – si studia di proporre all’Unesco di tutelare il Vino Santo Trentino come ‘Patrimonio culturale dell’Umanità’. Per onorare i viticoltori che lo producono con tenacia e sapienza, nel rispetto della consuetudine agricola alpina.
Nato a Stravino, micro-borgo rurale in Valle dei Laghi, tra Trento, le Dolomiti di Brenta e il Garda. Per 36 anni inviato speciale Rai in programmi e rubriche agroalimentari, filmmaker, da oltre 30 anni degusta vini per la guida del Gambero Rosso e ha pubblicato numerosi testi di cultura enogastronomica. È editorialista e colonna del quotidiano online ilDolomiti.it e per l'AltraMontagna racconterà di enogastronomia 'eroica', di Terre Alte ed alte quote, di buon vino e buon mangiare.