Può l'industria sciistica essere sempre l'unica soluzione? Per molti un Corno (alle Scale)
Il Consiglio di Stato ha bloccato il ricorso del comitato "Un altro Appennino è possibile": la seggiovia si farà. Di questi tempi, in previsione della realizzazione di un nuovo impianto a fune, lo stupore sorge in modo spontaneo. I motivi sono molteplici e non nascono certo dal pregiudizio


di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Di questi tempi, in previsione della realizzazione di un nuovo impianto a fune, lo stupore sorge in modo spontaneo. I motivi sono molteplici e non nascono certo dal pregiudizio, ma da alcune dinamiche che nel tempo, in molte aree di Alpi e Appennini, sono andate a compromettere la stabilità di un ramo economico un tempo solido: l’industria sciistica.
Un settore sicuramente capace di generare introiti, ma che si scontra con crescente violenza contro l’aumento delle temperature, specie quando gli impianti si trovano a quote medio-basse.
Informa il report Nevediversa 2024 di Legambiente: "Abbiamo contato 177 impianti temporaneamente chiusi, con una crescita di 39 unità rispetto al Rapporto precedente, mentre quelli aperti a singhiozzo sono saliti dagli 84 dell’edizione passata ai 93 di questa. I dismessi sono 260 a fronte dei 249 del Rapporto 2023 e gli impianti segnalati come sottoposti a 'accanimenti terapeutici' sono 214, più 33 dall’anno scorso. Smantellamenti e riutilizzi sono invece praticamente raddoppiati, anche se i numeri rimangono ancora piuttosto bassi: da 16 passano a 31".
Troppo alta la quota neve, troppo elevati i costi della neve programmata, troppo scarsi gli aiuti pubblici, troppo bassi gli introiti per auspicare in bilanci positivi.
Gli studiosi invitano a prendere in considerazione formule alternative. Non ovunque, naturalmente, perché ci sono comprensori che possono contare ancora su quote altimetriche "sicure". Ma la sicurezza si sta spostando rapidamente verso l’alto.
"Parla chiaro – spiega Marco Albino Ferrari – il parametro indotto dai nivologi austriaci chiamato quota neve affidabile, vale a dire la quota sopra la quale la copertura nevosa sta sopra i trenta centimetri per almeno cento giorni consecutivi. Dai 1750 metri dei decenni scorsi si è passati agli oltre 2000 di oggi. Non è solo importante che nevichi, ma che poi la stessa neve non fonda nel giro di poco".
Al di sotto di tale quota, con arrivo a 1782 metri, è in programma di realizzazione la nuova seggiovia del Corno alle Scale fra La Polla e il Lago Scaffaiolo. Il 12 febbraio il Consiglio di Stato ha bocciato il ricorso presentato dal comitato Un altro Appennino è possibile il quale sosteneva che per realizzare l’impianto di risalita era indispensabile una valutazione di impatto ambientale, che tuttavia non è stata considerata necessaria perché, secondo Regione e Comune, l’impianto a fune andrà a sostituire due infrastrutture preesistenti.
Se da un lato la sindaca di Lizzano Barbara Franchi dichiara di essere "estremamente soddisfatta per la decisione del Consiglio di Stato", dall’altro Un altro Appennino è possibile è uscito con un comunicato in cui esprime un profondo rammarico.
Al di là degli esiti legali, rimane comunque viva una domanda, che dai pendii degli Appennini echeggia fino alle valli alpine: ha ancora senso, investire milioni di euro (spesso pubblici), in un’industria che rischia di avere gli inverni contati? A breve termine e in alcuni contesti probabilmente anche sì, di doman non v'è certezza.
Foto in apertura: Cornoallescale.org