"Quello dell'allevatore montano non è soltanto un lavoro, è uno stile di vita". Storia di Francesco Carminati, giovane casaro della Valle Imagna bergamasca
Sulla scia della tradizione dei bergamini, i mandriani e casari che connettevano le Orobie con la Pianura Padana, Francesco Carminati è un giovane imprenditore che ha scelto di tornare alle radici, producendo formaggi espressione del territorio e allevando razze poco diffuse
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Tornare agli animali, ai ritmi della montagna, alle radici di casa. Tornare a fare il formaggio e a comprendere le ritualità produttive delle terre alte provando a costruirsi una propria strada, che parli la lingua antica del territorio. È stata questa la scelta di Francesco Carminati, 33 anni, giovane e intraprendente allevatore e casaro bergamasco che al momento di immaginarsi un percorso lavorativo non ha avuto dubbi: ha volto lo sguardo verso le montagne di casa – la Valle Imagna, allungata ai piedi del Resegone, stretta tra le province di Bergamo e di Lecco – e ha scelto il lavoro che più di tanti altri racconta la tradizione produttiva del territorio, cioè quello dell'allevamento e della caseificazione, sulla scia tracciata per secoli dai bergamini, i mandriani transumanti bergamaschi tra le Alpi e la Pianura Padana. Tra recupero di razze ovine e bovine poco diffuse e la scelta di effettuare un allevamento semi-nomade e di produrre formaggi locali dal taglio innovativo, oggi Francesco gestisce la sua azienda agricola Recudino all'insegna dell'agricoltura di prossimità, della tutela della montagna e della valorizzazione dei saperi del territorio.
Dall'hobby al lavoro
«Quello dell'allevatore montano» racconta Francesco «non è soltanto un lavoro. È uno stile di vita, una scelta consapevole che fai sapendo che poi cambia tutto. Cambiano gli orari, cambiano i ritmi, cambiano le priorità. Cambia anche il modo con cui guardi al tuo territorio, alle montagne che ti sono casa». Originario del paese di Corna Imagna, l'amore di Francesco per le sue terre alte ha radici forti, radicate nel tempo d'infanzia in cui aiutava il nonno con gli animali: «Mio nonno era un boscaiolo in Svizzera, e ha preso gli animali solo quando è andato in pensione. Io gli davo una mano, qui, nella stalla di famiglia che oggi è la base della mia attività». La scelta di fare dell'allevamento il suo lavoro, tuttavia, non è stata per Francesco immediata: prima si è diplomato, ha lavorato sei anni in fabbrica, si è confrontato con il mondo dell'occupazione “classica”. E, infine, ha deciso di cambiare rotta e di trasformare l'hobby in vero e proprio lavoro: nel 2016 ha aperto l'azienda agricola Recudino – che trae il nome dalla località dove sorgono le stalle e il laboratorio di caseificazione, nel paese di Sant'Omobono Terme – e ha cominciato ad allevare pecore massesi e vacche grigio alpine e a produrre formaggi vaccini e ovini... A cominciare dallo stracchino all'antica, espressione per antonomasia della tradizione casearia locale e presidio Slow Food.
Terra di bergamini
La Valle Imagna – così come le altre valli orobiche – ha una tradizione economica secolare fortemente legata al mondo dei bergamini, cioè gli allevatori e casari transumanti che facevano da spola tra la Pianura Padana e gli alpeggi in alta montagna, salendo in quota con l'approssimarsi della stagione estiva e tornando poi a migrare in basso verso l'inverno. Un vero e proprio “popolo delle montagne” fiero e indipendente, costituito non da mezzadri o fittavoli ma da imprenditori a tutti gli effetti, che con le loro mandrie in movimento e le loro conoscenze casearie connettevano le economie di territori diversissimi. «Fino a pochi decenni fa, erano le economie agricole di pianura che dipendevano da quelle alpine, e non viceversa», racconta Antonio Carminati, presidente del Centro Studi della Valle Imagna. «I proprietari dei fondi agricoli nella Pianura Padana concedevano stalle e prati per il pascolo invernale degli animali dei bergamini, e in cambio ne ottenevano letame che arricchiva i campi e formaggi: di contro, i bergamini avevano così l'appoggio in pianura per la stagione fredda, prima di tornare a portare le vacche in alpe durante l'estate. C'era interrelazione tra questi due mondi, in uno scambio che faceva comodo a entrambi. Nel loro migrare verticale i bergamini portavano con sé conoscenze, saperi, economie produttive e spesso anche tradizioni linguistiche e culturali proprie».
Espressione massima del mondo bergamino era il formaggio stracchino, il cui nome deriva dal bergamasco stràc, cioè stanco: si tratta infatti di un formaggio morbido, che “si lascia andare”, prodotto con il latte appena munto. «La caseificazione nasce in primis come modo per conservare più a lungo il latte delle vacche, e per trasportarlo più facilmente» continua Antonio Carminati. «Lo stracchino in particolare è un formaggio a lavorazione immediata, è prodotto con latte crudo e quindi contiene in sé tutti i sapori di ciò che le vacche hanno mangiato quel giorno. Non esiste uno stracchino uguale a un altro, ciascuna forma è espressione di un determinato momento, o di un determinato alpeggio». In virtù della tradizione antica di cui è condensato, lo stracchino all'antica è oggi tutelato come presidio Slow Food del territorio.
Formaggi tra tradizione e innovazione
È a questa tradizione fondante per la Valle Imagna che si riallaccia Francesco con la sua attività agricola. Con una specifica: tradizione sì, ma con l'innovazione necessaria a portare avanti questo lavoro senza snaturarlo. Ecco allora che lui ha scelto di allevare sia vacche grigio alpine da lattazione sia pecore di razza massese (entrambe razze poco diffuse e a rischio di estinzione) e di praticare un allevamento montano di tipo semi-nomade: si sposta cioè nei pascoli valdimagnini nel periodo estivo, mentre nei mesi invernali gli animali rimangono in stalla e nei pascoli adiacenti alle strutture. In totale ha una quindicina di vacche e una sessantina di pecore. «Nel territorio bergamasco quello ovino è un mercato meno concorrenziale rispetto a quello caseario vaccino» spiega. «Nel nostro territorio le pecore sono sempre state allevate tradizionalmente per la carne. Io invece produco anche formaggi 100% ovini, come il pecorino stagionato con latte di pecora massese oppure la mascherpa di pecora salata e stagionata, e formaggi misti con latte vaccino e pecorino: formaggelle, stracchini, il cornèl, e via dicendo». Una cosa per Francesco è chiara: nessun “discount del formaggio” per lui, ma solo piccole produzioni locali e curate che permettono di assaporare la vera essenza del territorio a ogni boccone Con l'aiuto della famiglia, inoltre, Francesco ha sistemato alcuni locali nei pressi della spalla e vi ha ottenuto un piccolo spaccio a chilometro zero dove vende i suoi prodotti.
Non è un lavoro facile, ci tiene a specificare Francesco: le problematiche non mancano, tra aumento dei costi di fieno e carburante e le difficoltà connesse ai terreni da pascolo, spesso frammentati tra diversi proprietari. «Eppure, nonostante tutto c'è un dato positivo» conclude Francesco. «Il fatto cioè che mi pare ci sia un ritorno a questi lavori. Qui in valle siamo in tanti, e tanti giovani, ad aver ricominciato a produrre formaggio e allevare. E sì, è una bella notizia, perché è l'unico modo per tornare a prendersi cura del proprio territorio: viverlo, lavorarlo, mantenerlo».