Quando la politica incontra gli orsi, genera mostri. Il caso M90 tra ideologia e scienza
L'abbattimento dell'orso M90 e le conseguenti reazioni motivano una riflessione di carattere politico: troppo spesso, infatti, si fa di orsi e lupi una bandiera da sventolare. Ma quando non si possiedono gli strumenti tecnico-scientifici per commentare queste dinamiche, è necessario ascoltare gli esperti
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Dopo l’abbattimento di M90 gli schieramenti si sono formati rapidamente: come al solito netti, distinti, precisi.
Da una parte luccica il sorriso di chi vede nell’orso, in modo incondizionato, un nemico da sterminare senza pietà: “Meno uno, adesso sotto con gli altri!”
Dall'altra c'è chi sostiene che sulle Alpi il problema non sia dato dalla presenza dell'animale, bensì da quella umana, andando così a rafforzare la discutibile convinzione (di matrice urbanocentrica) che le montagne italiane siano una sconfinata landa selvaggia.
Anche in questa occasione i due schieramenti tengono lontane le mezze misure, le sfumature intermedie e, soprattutto, il parere degli esperti. L’unico, forse, che si dovrebbe ascoltare quando non si possiedono gli strumenti tecnico-scientifici per commentare un episodio.
Questa bipartizione è il risultato di politiche che, troppo spesso, fanno di orsi e lupi una bandiera da sventolare. Pertanto l’animale diventa un elemento su cui speculare; un potentissimo magnete per attrarre l’elettore. C’è la politica che abbraccia la retorica dell’umanizzazione, offrendo ai selvatici connotati antropici e sfumature disneyniane, e poi c’è la politica che invita indirettamente ad impugnare il fucile: una forma di propaganda imperniata sulla paura delle persone che spesso innesca meccanismi comportamentali pericolosi (come quello della “giustizia fai da te”) sconnessi rispetto alle necessarie misure istituzionali. Misure che, naturalmente, possono anche prevedere l’abbattimento degli animali problematici, ma seguendo procedure inserite in piani strutturati secondo un approccio oggettivo, non emotivo. Troppo spesso, infatti, si trasforma l’emotività in arma mediatica ed è una logica da cui è sempre più necessario allontanarsi, come ricorda a L’AltraMontagna Marco Apollonio, zoologo dell'Università di Sassari e tra i massimi esperti a livello nazionale in materia grandi carnivori (LEGGI QUI).
"Nessuno – spiega Apollonio – è contento di rimuovere un orso ma si deve avere il coraggio di affrontare un problema, se vogliamo la conservazione degli orsi. Una gestione razionale evita poi che l'emotività prenda il sopravvento o che si sviluppino attività di bracconaggio, illegali e da condannare ma che possono avvenire se le istituzioni non fanno le istituzioni. Anzi, ci potrebbe essere un beneficio in termini di coesistenza".
Prevenire, informare, educare, rivolgendosi agli esperti per formulare o riformulare i piani di convivenza: accortezze fondamentali per affrontare la questione con sguardo oggettivo, tuttavia soffocate da questa accentuata bipartizione politica e, di riflesso, sociale.
La politicizzazione di orsi e lupi può inoltre dare vita ad altre dinamiche meno visibili, ma non per questo irrilevanti: “Ha avuto un effetto – spiega a L’AltraMontagna Ferdinando Cotugno, giornalista specializzato in tematiche ambientali – ed è stato quello di aver rotto la fiducia sul fatto che la gestione dell'orso venga svolta nell'interesse pubblico”.
“Non c'è più fiducia – prosegue Cotugno – perché la sensazione è che la gestione sia diventata solo un gioco politico, quindi anche entità terze come l'Ispra ora vengono percepite come di parte e questo secondo me è un problema. In questo clima da far west, dove alcune amministrazioni sembrano avere il ‘grilletto facile’, le sensibilità ambientaliste hanno un ruolo fondamentale nell’evitare una deriva che rischia di andare nel verso opposto alla conservazione della specie”.
Per concludere, è necessario evidenziare come l’estrema politicizzazione rischi di influenzare il lavoro dei ricercatori, magari in modo involontario. Conseguenza diretta è, ad esempio, il dilagante riserbo nell’esposizione degli approdi scientifici, per non correre il rischio di venire risucchiati nel vortice politico-mediatico.
Quello su orsi e lupi è palesemente un dibattito inquinato, possibile da bonificare solo attraverso un’azione: l’ascolto. L’ascolto di chi può vantare le competenze per parlare in modo razionale, ma che, intimidito da tutto questo gran baccano, sceglie la strada del silenzio.