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In Veneto 172 stanze panoramiche oltre i 1600 metri. Antonio De Rossi: “Un’omologazione del paesaggio controproducente”

Le "stanze panoramiche" sono l'ultima trovata della Regione Veneto per valorizzare la montagna. L'architetto Antonio De Rossi: "Sembra che ormai il paesaggio di montagna esista solamente se c’è una struttura che permette di guardarlo. Questo è paradossale; è una visione urbana trasferita sulla montagna, perché il panorama e il paesaggio esistono già, non hanno bisogno di un’infrastruttura che serva per osservarlo"

di
Pietro Lacasella
06 febbraio | 17:15
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

"Stanze panoramiche": questa l’ultima trovata della Regione Veneto per valorizzare la montagna.

 

“Le stanze panoramiche – si legge nel sito della Regione – consentono al turista ospitato di osservare in modo particolarmente ampio sia il paesaggio circostante, sia il movimento degli astri nel cielo, grazie alle superfici vetrate proporzionalmente più grandi rispetto alle finestre dei normali locali di pernottamento delle altre strutture ricettive, con una più diretta immersione negli ambienti naturali in cui tali stanze sono collocate”.

 

L’istallazione di queste strutture, in deroga all’attuale normativa urbanistica regionale, è prevista a quote uguali o superiori i 1600 metri, limite oltre il quale sono permessi solo rifugi, malghe e bivacchi. La proposta di legge sulle “stanze panoramiche”, presentata dalla Giunta regionale nell’ottobre 2022, verrà discussa oggi in Consiglio regionale. Tra le altre cose fissa anche un tetto di due strutture per comune montano: in Veneto sono 86, il che vuol dire che se tutti decidessero di usufruire di questa possibilità, le stanze panoramiche realizzate entro i confini della regione sarebbero 172.

 

Questa iniziativa, avanzata dalla giunta di Luca Zaia, oltre a non trovare consenso nell’opposizione e nel Cai, solleva diverse perplessità anche nella maggioranza di centrodestra. Il leghista Marzio Favero, riporta il Giornale di Vicenza, voterà contro: “Spiegherò in aula le motivazioni – ha detto ieri – ma posso già anticipare la mia contrarietà”.
Anche gli alleati di Fratelli d’Italia, prosegue il quotidiano berico, non hanno nascosto il proprio scetticismo, tant’è che in commissione si sono astenuti.

 

Questa vicenda stimola tuttavia una riflessione di respiro più ampio sulla progressiva necessità (per non dire “smania”) di valorizzare le montagne attraverso oggetti calati dall’alto, spesso poco aderenti con le specificità territoriali: panchine giganti, ponti tibetani (che di tibetano hanno solo il nome), passerelle allestite sui precipizi, “voli d’angelo”.

Per approfondire ci siamo rivolti ad Antonio De Rossi, architetto, docente universitario al Politecnico di Torino e membro del comitato scientifico de L’AltraMontagna.

 

Sembra che ormai il paesaggio di montagna esista solamente se c’è una struttura che permette di guardarlo. Questo è paradossale; è una visione urbana trasferita sulla montagna, perché il panorama e il paesaggio esistono già, non hanno bisogno di un’infrastruttura che serva per osservarlo”.

 

172 strutture del genere sulle montagne del Veneto – prosegue De Rossi – portano a una omologazione del paesaggio, della fruizione della montagna che rischia di essere persino controproducente rispetto agli obiettivi di questa proposta di valorizzazione turistica. Si può essere d’accordo o contro questa idea, ma al di là della propria posizione, c’è un rischio oggettivo che questa iniziativa vada a omologare tutte le differenze tra i singoli luoghi”.

 

“L’invito – conclude l’architetto – è quello di riflettere molto bene su un’azione che rischia di diventare un automatismo: faccio un punto panoramico e automaticamente valorizzo il paesaggio, valorizzo le potenzialità turistiche, ma in realtà bisogna pensarci molto bene perché così si corre il pericolo dare vita a luoghi tutti uguali. In qualunque posto arrivi rischi di trovare la stessa cosa, sempre uguale. Io credo invece che andare in montagna sia soprattutto cercare le differenze”.

 

Viene quasi naturale prolungare le considerazioni di Antonio De Rossi con un’ulteriore riflessione: per rendere seducenti i territori montani a volte sono necessari interventi di carattere minuto, ma soprattutto una narrazione accattivante, capace di cogliere e di evidenziare la poesia e il fascino degli elementi già esistenti. Degli elementi capaci di rendere un territorio unico.

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