IL VIDEO. Piove sulle piste da sci del Kaberlaba e la neve si fonde: hanno un futuro gli impianti a 1000 metri?
Piove sulle piste da sci del monte Kaberlaba (Asiago) dove sono stati di recente inaugurati una seggiovia e un bacino per l'innevamento artificiale costati quasi 4 milioni di euro. Con l'inesorabile avanzata dei cambiamenti climatici, ha ancora senso investire dove non nevica più come una volta?
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
10 febbraio 2024. Gli scarponi sprofondano in una poltiglia grigiastra, la pioggia picchietta sul cappuccio della giacca a vento e un vento tiepido accarezza il viso. L’impianto è chiuso, il parcheggio è vuoto, e un surreale silenzio si diffonde tra le piste da sci, interrotto solo dal mormorio dei tanti rivoli provocati dalla fusione della neve (artificiale).
Ieri le piste da sci del monte Kaberlaba si presentavano così. Uno scenario distopico che negli anni Trenta nessuno si sarebbe mai immaginato: inaugurato nel 1938, infatti, quello del Kaberlaba è il comprensorio più anziano dell'Altipiano dei Sette Comuni. All'epoca, ad affrancare gli sciatori dalla salita era attiva una slittovia, ovvero una slitta trainata a fune, composta da cinque panche su cui si potevano sedere gli sportivi durante l’ascesa, e da un vano retrostante all’interno del quale venivano inseriti, verticalmente, gli sci. La slittovia favorì la realizzazione dei primi punti-noleggio di slitte e di sci, ma soprattutto di locali per turisti.
Nel tempo il Kaberlaba è diventato un riferimento per gli asiaghesi e per i villeggianti desiderosi di vivere momenti di leggerezza sull'Altipiano. Su quelle dolci pendenze si sono formate diverse generazioni di sciatori e il carattere minuto delle piste, inserite tra boschi e pascoli, suscita un sentimento di tenerezza che oggi, con il riscaldamento climatico, si corrobora fino a diventare malinconia.
Sviluppandosi a quote modeste (tra 1000 e i 1200 metri) gli impianti soffrono enormemente l'innalzamento delle temperature. Negli ultimi giorni sul Kaberlaba (così come su un’estesa superficie delle Alpi situata sotto i 2000 metri) la pioggia ha smagliato la pista, rendendo inutilizzabile il già sottile strato creato dai cannoni sparaneve.
E così, la seggiovia quadriposto e il bacino per la produzione della neve artificiale riposano sotto la pioggia battente. Entrambi sono nuovi fiammanti, inaugurati da pochi mesi grazie a un investimento di quasi 4 milioni di euro: 3 milioni e 71 mila per la seggiovia, 718 mila per il bacino.
“In caso di mancanza di precipitazioni nevose, la neve viene garantita tramite l'utilizzo dell’impianto di innevamento artificiale di cui il comprensorio sciistico dispone”, si legge nel sito Asiago.it. Eppure le alte temperature che stanno affliggendo l’Altipiano da ormai due settimane rendono inutilizzabile qualsiasi tecnologia.
Sorge quasi spontanea una domanda: finanziare con una cifra considerevole un comprensorio sviluppato a poco più di mille metri, non è forse stata una mossa azzardata e sorda agli avvertimenti degli studiosi?
Non sarebbe stato meno rischioso dirottare i capitali su forme turistiche più aderenti alle caratteristiche climatiche del presente?
Eppure c’è chi sull’Altipiano ha intuito che le cose non stanno girando per il verso giusto. Ma nonostante questo, per ovviare alla mancanza di neve, propone una soluzione energivora che andrebbe ad alimentare ulteriormente la fiamma dei cambiamenti climatici: una pista da sci al coperto, modello Dubai. Un enorme frigorifero da 30 milioni di euro, che potrebbe permettere di scivolare sulla neve 12 mesi l'anno. Questa idea è stata avanzata da Carlo Arduini, direttore della Scuola Sci Asiago (una delle più antiche d'Italia).
Il presidente del Collegio Nazionale Maestri di Sci, Luigi Borgo, dichiara che lo "skidome" “proietterebbe l’Altopiano avanti di trent’anni e questo momento sarebbe quello giusto a portare avanti la proposta”.
Avanti di trent'anni? “Ci pare, a onor del vero, che un’idea del genere si collochi più che trent’anni avanti, almeno quarant’anni indietro: nel cuore di quegli anni Ottanta in cui si credeva in un progresso inarrestabile, illudendosi di poter vivere sfruttando in modo indefinito le risorse di un pianeta che, viceversa, infinito non è, per parafrasare Mario Rigoni Stern”.
Così ha scritto su L'Altramontagna Luca Trevisan, per poi aggiungere: “Il rischio di vedere nuovamente investire denaro pubblico da parte delle amministrazioni locali in costosissime strutture e impianti privati destinati a soddisfare le richieste di una ormai ristretta élite, da un lato, non diversamente da quanto recentemente già accaduto, e l’impatto economico e sociale che un’operazione del genere avrebbe in tempi di cambiamento climatico e di conseguente crisi idrica ed energetica, non fanno che invitarci a guardare con estrema diffidenza un progetto simile”.
Miti passati ritornano in un presente profondamente mutato. La nostra società prova a infilare con testardaggine lo stesso paio di scarpe che indossava sessant'anni fa, quando era bambina. Se ci riesce il venditore ci guadagna profumatamente, ma il dolore si propaga per tutto il corpo.
In un'epoca fragile e segnata dai cambiamenti climatici, progetti ad alto impatto come questo possono provocare ferite difficili da guarire.