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Attualità

Sul Grostè con la mandria di vacche (video). Traversata storica di un allevatore: “Volevo lanciare un messaggio a chi non conosce i sacrifici dietro un bicchiere di latte”

Stefano Collini ha compiuto una vera impresa portando le mucche dalla Val di Non alla sua valle attraverso il passo Grostè. Una demonticazione d'altri tempi: ''Ho preparato l’impresa con grande attenzione, in modo che gli animali fossero sempre in condizioni di sicurezza: ero stato a vedere il percorso tre volte per capire se fosse fattibile. Inoltre mi ero dotato di uno steccato mobile e delle fettucce per proteggerle maggiormente durante i passaggi più esposti e i punti più critici''

di
Marta Manzoni
12 ottobre | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Stefano Collini, allevatore di Sant’Antonio di Mavignola, quest’anno si è accordato con un gestore di due malghe in Val di Non al quale ha dato in affidamento le sue vacche per l’estate, trasportandole con il trattore in Val di Non, passando per il lago di lago di Tovel. Quando è arrivato il momento della demonticazione ha attraversato con la mandria il Passo Grostè.

Com’è nata l’idea di questa avventura?

Quest’estate, scherzando con degli amici, abbiamo pensato che per riportare gli animali in valle alla fine dell’estete sarei potuto passare per il Passo Grostè. Vent’anni fa, infatti, avevo fatto lo stesso giro al contrario, dal Grostè ero sceso in Val di Non in bici.

 

Come si è preparato per affrontare il percorso?

Chiaramente avevo ben preparato l’impresa, in modo che gli animali fossero sempre in condizioni di sicurezza: ero stato a vedere il percorso tre volte per capire se fosse fattibile, e avevo valutato tutti i rischi prima di portarci le vacche. Avevo anche spostato i sassi del sentiero che pensavo avrebbero potuto far male ai piedi delle vacche, rendendolo più agibile anche per le persone. Inoltre mi ero dotato di uno steccato mobile e delle fettucce per proteggerle maggiormente durante i passaggi più esposti e i punti più critici. Il tragitto era fattibile ma non semplice, bisognava fare attenzione ma sapevo che non era pericoloso, altrimenti non ci avrei mai portato le mucche.

Quale tragitto avete percorso?

Finito il periodo dell’alpeggio che era iniziato a giugno, quando è arrivato il momento della demonticazione e di tornare a casa, il 24 settembre sono partito da malga Pozzo insieme ad altre quattro persone che mi hanno aiutato in questa avventura. Abbiamo percorso insieme alle vacche il sentiero che porta a malga Flavona, che si trova a metà pascolo, e qui abbiamo lasciato la mandria a riposare per un giorno. Il giorno dopo abbiamo proseguito verso il passo della Gaiarda, lungo la prateria immensa di campo Flavona. Da lì ci siamo diretti al Passo Grostè e abbiamo quindi dovuto metterci in fila indiana: il pascolo era finito e quello era l’unico modo per proseguire. Ogni cinque – sei vacche c’era una persona: in questo modo gli animali non si disturbavano a vicenda, non si fermavano e andavano sempre al loro passo, decidendo il ritmo che preferivano. Abbiamo impiegato quattro ore di cammino per arrivare al passo Grostè e poi all’omonimo rifugio, che abbiamo raggiunto la sera. In seguito abbiamo fatto pernottare le mucche al Rifugio Giorgio Graffer e l’indomani siamo ripartiti da lì, e poi siamo passati per campo Carlo Magno, poi Madonna di Campiglio, e siamo infine arrivati nel pascolo a Sant’Antonio di Mavignola. In tutto ci abbiamo messo tre giorni.

Cosa l’ha colpita di questa esperienza? Quali emozioni ha provato?

Nessuno aveva mai fatto questa traversata con le vacche. In parte ho scelto di intraprendere questa avventura anche per ottimizzare il discorso legato alla burocrazia e trasporti, ma soprattutto ho voluto farlo per trascorrere delle belle giornate nella natura insieme ai miei animali. Facciamo sacrifici 365 giorni all’anno, mentre il tempo che ho trascorso in ambiente con la mandria, anche se erano giornate di lavoro, è stato gratificante e mi ha dato tanta soddisfazione. Sono state delle giornate di festa. Gli animali mi hanno regalato delle forti emozioni, che non dimenticherò: basta poco per creare dei bei ricordi.

 

Quali sono state i punti più affascinanti del paesaggio che avete attraversato?

Ogni momento aveva il suo perché, ogni foto che ho fatto aveva la sua storia. È stato davvero tutto molto emozionante, ma la parte più ingaggiante e interessante è stata di sicuro quella per arrivare al Passo Grostè. Per assurdo, quando siamo arrivati al Passo Grostè, ho provato un po’ di malinconia perché sapevo che la parte più adrenalinica dell’avventura era finita.


Come si sono comportate le vacche?

Capivano quando dovevano stare più attente perché magari era un punto più rischioso, o potevano fare cadere un masso, inciampare o scivolare. È stato bello affrontare insieme questa sfida, non perché fosse pericoloso ma perché ho potuto dimostrargli che mi fido di loro e sapevo che ce l’avrebbero fatta. Loro mi hanno ricompensato trasmettendomi emozioni stupende e confermandomi che erano in grado di affrontare questa avventura. Con altri animali, magari di una razza diversa, come quella Frisona, che è meno calma della mia Pezzata Rossa, non avrei mai fatto nulla del genere. Non voglio sminuire nessuna razza chiaramente, dico solo che ognuna ha la sua storia.

 

C’è qualche aneddoto che vuole condividere?

C’è stato solo un momento in cui una vacca mi ha fatto venire la tachicardia. C’è un tratto del sentiero per arrivare al Grostè con dei tornanti, che erano quelli che mi preoccupavano maggiormente: quando sono in fila indiana, infatti, il loro istinto è andare direttamente incontro alle mucche che vedono più in basso di loro, tagliando il sentiero. Su un tornante una vacca invece di fare tutta la curva ha voluto girare prima andando fuori dal sentiero e per un attimo è scivolata con le gambe davanti, anche se si è fermata subito e comunque on sarebbe successo nulla di grave.

Cosa si è portato a casa da questa avventura?

Mi sono reso conto che presi dal benessere in cui viviamo oggigiorno, non ci ricordiamo che quello che abbiamo lo dobbiamo ai sacrifici che hanno fatti i nostri antenati. Una volta non esistevano i trasporti con i rimorchi e i camion e l’unica soluzione era organizzarsi come ho fatto io in questo caso, studiando il percorso e valutando le condizioni. Ho rivissuto Ia fatica che facevano i nostri avi quando non esistevano tutte le comodità di oggi.

 

Quale messaggio hai voluto trasmettere compiendo questa impresa?

A volte, quando si compiono imprese simili, molti pensano che sia soltando per mettersi in mostra e far parlare di sé. In parte certo, sono contento di poter dire di averlo fatto, ma la reale motivazione che mi ha spinto è un’altra: volevo lanciare un messaggio alle persone che sono lontane da questo mondo e non conoscono i sacrifici che ci sono dietro un bicchiere di latte o un pezzo di formaggio. Un allevatore fa tanti sacrifici che non vengono riconosciuti  nella società in cui viviamo. Alcuni dicono che gli allevatori sono solo imprenditori che sfruttano gli animali: con questa traversata volevo dimostrare che non è così, voglio bene agli animali e cerco sempre di fare il meglio per loro. E credo che abbiano preferito compiere questa avventura piuttosto che essere trasportati da un trattore.  

 

Lo rifarà il prossimo anno?

Sicuramente! E gli animali più giovani che hanno fatto la traversata a settembre, sicuramente se ne ricorderanno e la faranno ancora più facilmente, sapranno già dove andare.

 

 

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