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650mila abitanti in meno dal 2014: il declino demografico nelle aree interne italiane non si è mai fermato e sarà sempre più rapido

A dieci anni dall'avvio della Strategia nazionale per le aree interne, un focus Istat evidenzia che la popolazione dei Comuni marginali è scesa del 5,0% dal 2014. Tra le cause i tassi di crescita naturale particolarmente negativi negli enti Periferici e Ultraperiferici, quelli con meno servizi

 

di
Luca Martinelli
28 agosto | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

"Nell’analisi dei fenomeni demografici il territorio è un fattore determinante: le sue caratteristiche condizionano la distribuzione spaziale della popolazione e costituiscono un elemento di attrazione/repulsione dei flussi migratori" spiega l'ultimo focus Istat dedicato alla demografia delle aree interne, cioè di quei territorio che nel nostro Paese si trovano marginalizzati, "significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità)" di cittadinanza, come spiega il glossario dell'Istituto nazionale di statistica.

 

Il focus è ovviamente una miniera di dati, che sono utili a comprendere che cosa sta accadendo a quei territori al centro degli articoli de L'AltraMontagna. Intanto, le Aree interne comprendono quasi 4mila Comuni, il 48,5% del totale. Si tratta di territori definiti "fragili", anche a causa di fenomeni come l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono dei territori a causa delle migrazioni.

 

Nonostante queste dinamiche negative, al 1° gennaio 2024, nelle Aree interne risiedono circa 13 milioni e 300mila individui, circa un quarto della popolazione residente in Italia: in particolare, risiedono nei Comuni Intermedi 8 milioni di persone (pari al 13,6% del totale dei residenti in Italia), nei Comuni Periferici 4,6 milioni (7,8%) e, infine, nei Comuni Ultraperiferici, che sono i più svantaggiati in termini di accessibilità ai servizi, 700mila individui (1,2%).

 

Se è vero che un calo generalizzato ha interessato in generale la popolazione residente in Italia, che dal 2014 a oggi è scesa del -2,2%, dopo oltre un decennio di crescita (+5,9% dal 1° gennaio 2002 al 1° gennaio 2014), lo è anche che la situazione si presenta in maniera differente nei Comuni delle Aree interne rispetto ai Centri. Dal 1° gennaio 2014 al 1° gennaio 2024 la popolazione residente nelle Aree interne è poi diminuita del 5,0%, passando da 14 milioni a 13 milioni e 300mila individui, mentre quella dei Centri appena dell’1,4% (da 46 milioni e 300mila a 45 milioni e 700mila). Il declino demografico generalizzato è più evidente nelle aree periferiche (-6,3%) e ultraperiferiche (-7,7%).

 

Su questo contesto incide un macro-problema che riguarda tutto il Paese: in Italia si fanno pochi figli, ovunque. Il decremento demografico della popolazione residente, cioè, è causato da un movimento naturale che da tempo risulta negativo. Nei Comuni delle aree interne il problema è ancora più marcato: nel 2023 il tasso di crescita naturale, che è pari al -4,8 per mille in Italia, è stato pari invece a -5,8 per mille nelle Aree Interne, in diminuzione rispetto al 2002 quando il valore era pari a -1,1 per mille. Considerando l’intero periodo 2002-2023, il calo delle nascite è stato del 28,5% nei Centri e del 32,7% nelle Aree interne. L’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra la popolazione ultra-sessantacinquenne e quella fino a 14 anni di età, nel 2002 era pari rispettivamente a 133% e 131% per le Aree Interne e i Centri, mentre nel 2024 è uguale a 214% e 196% (200% per l’Italia). L'esplosione è l'effetto "di una diminuzione più forte del resto della popolazione, soprattutto quella giovanile, nelle Aree interne rispetto ai Centri".

 

Tra gli elementi che contribuiscono alla riduzione nel numero degli abitanti c'è ovviamente il flusso migratorio che origina dalle Aree interne e si dirige verso i Centri, che tra il 2002 e il 2023 ha visto un saldo negativo per le aree interne di poco meno di 190mila residenti, equivalenti alla scomparsa di una città come Taranto. Quasi la metà delle partenze (46,2%) origina da Aree interne del Mezzogiorno, il 34,1% da quelle del Nord e il 19,7% da Aree interne del Centro. Specularmente, sono i Centri del Nord che accolgono la prevalenza di queste partenze (50,8%).

 

Un altro fattore che incide sullo spopolamento delle Aree interne è costituito dai consistenti flussi di espatri dei cittadini italiani verso l’estero. In questo caso, i principali attori sono i giovani e i giovani adulti di 25-39 anni: tra quelli che lasciano i Centri e le Aree interne emergono disuguaglianze nelle graduatorie dei Paesi di destinazione. "Per i Comuni Intermedi, Periferici e Ultraperiferici la Germania è la principale meta di destinazione (25,3% dei flussi complessivi), seguita dalla Svizzera (13,6%) e dal Regno Unito (12,7%). Per i Centri, invece, il Regno Unito è la meta preferita nel 18,8% dei casi, seguono Germania (13%) e Francia (10,2%). Le due differenti graduatorie possono essere spiegate in parte anche dalla diversa composizione degli espatri per livello di istruzione: gli espatriati con titolo di studio medio-basso sono maggiormente attratti da Paesi con forte vocazione industriale-manufatturiera, mentre coloro che partono con un titolo di studio più elevato prediligono Paesi in cui il settore terziario rappresenta la vocazione economica prevalente" sottolinea l'Istat.

 

Dai Comuni delle aree interne, però, non partono solo persone con scarsa formazione professionale: tra il 2002 e il 2022 si sono spostati dalle Aree interne verso i Centri e i Paesi esteri ben 160mila giovani laureati. L'Istat la definisce "perdita di capitale umano".

 

Le previsioni sul futuro demografico dell’Italia, aggiornate al 2023, confermano il declino della popolazione nel breve e medio periodo. Lo scenario di previsione “mediano” contempla un calo di popolazione da 59,0 milioni al 1° gennaio 2023 (anno base) a 58,2 milioni nel 2033 (-1,4%) sino a 56,5 milioni nel 2043 (- 4,3% rispetto al 2023). La variazione sull’anno base, nel breve e nel medio periodo, risulta più accentuata per i Comuni delle Aree interne (rispettivamente -3,8% e -8,7%) rispetto ai Comuni dei Centri (-0,7% e - 3,0%). Tra 10 anni quasi il 90% dei Comuni delle Aree interne del Mezzogiorno subirà un calo demografico, con quote che raggiungeranno il 92,6% nei Comuni Ultraperiferici. Resta davvero poco tempo per provare ad invertire questa tendenza.

 

Due donne sulla soglia di casa a Lacedonia, in Irpinia © Luca Martinelli

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