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Attualità

“Il Paese ha bisogno di noi”. La storia del fotografo che ha scelto di tornare sui Monti Sibillini: “Vivo qui per amore e senso di responsabilità”

Montefurtì è il progetto fotografico di Michele De Santis che racconta la storia di spopolamento e abbandono comune a tanti paesi italiani, dove ogni partenza lascia un vuoto incolmabile. Ecco alcune delle immagini che ha realizzato

di
Marta Manzoni
26 ottobre | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Michele De Santis è un fotografo di 31 anni proveniente da Montefortino (FM), un piccolo paese dell’entroterra marchigiano, situato sui Monti Sibillini. Nel corso degli ultimi quattro anni si è dedicato alla documentazione fotografica del suo paese, cercando di evidenziarne i mutamenti, le contraddizioni e l’inesorabile abbandono di cui è vittima.

 

“Ho lasciato Montefortino presto, dopo la terza media ho iniziato a fare il pendolare. Volevo fare il liceo così sono dovuto andare a vivere a Macerata, a un’ora di auto da casa. Anche l’Università l’ho fatta fuori e poi ho lavorato per tre anni a Pisa. Nel periodo della pandemia, dopo molto tempo, sono tornato a Montefortino, e mi sono accorto che non mi dispiaceva viverci”, ha raccontato De Santis.

 

Quindici anni fa c’era una maggiore vitalità, più persone in giro, i bar erano più pieni. Mio padre, per esempio, si ricorda un Montefortino diverso, in cui c’erano più scuole, anche a livello sociale era una vita diversa. Per la mia generazione la situazione è molto cambiata”, ha continuato il fotografo.

De Santis ha spiegato come Montefortino abbia visto un iniziale spopolamento a fine ottocento, e poi nel novecento, quando le persone emigravano verso gli Stati Uniti. In seguito, dagli anni sessanta, il fenomeno è aumentato ulteriormente, mentre durante il fascismo si è invertita la tendenza. Nel secondo dopo guerra è di nuovo diminuito il numero di abitanti, fino a ridursi repentinamente durante il terremoto del 2016.

 

“Come molti miei concittadini, mi sono allontanato ripetutamente da Montefortino, senza però mai riuscire ad abbandonare veramente questo paese, forse per un senso di amore molte volte non corrisposto o di responsabilità verso un territorio dove ogni partenza lascia un vuoto incolmabile”, ha sottolineato il fotografo.  

A Montefortino sono, infatti, evidenti le conseguenze economiche, socioculturali e fisiche dei continui abbandoni.

 

“Durante la mia documentazione mi sono spesso accorto di essere arrivato tardi. Questo declino, infatti, non è arrestato da un’inversione di tendenza. Gli investimenti di soldi, anche importanti, che stanno arrivando non sono rivolti nei confronti di chi vuole vivere il Paese ma sono verso il turismo. Non si cerca in alcun modo di aumentare la qualità della vita degli abitanti”, ha evidenziato De Santis.

Il fotografo ha detto di appartenere a una generazione che non ha conosciuto il paese di qualche anno fa, quando le strade erano ancora popolate e le case in gran parte abitate. Al contrario, è nato in un Montefortino già svuotato, sia delle sue persone che delle sue speranze: un paese dove nei discorsi delle persone è diffuso un sentimento di risentimento e nostalgia. 

 

“Non saprei dire quali sono i motivi concreti per i quali continuo a vivere a Montefortino: è più una questione affettiva, ci sono nato e cresciuto. Sento una responsabilità nei suoi confronti: chi se ne va lascia proprio un vuoto, qui non esiste un flusso di gente come in città”, ha continuato il fotografo, mostrando grande affetto nei confronti della sua terra e sostenendo che ci sarebbe bisogno di un’inversione di tendenza culturale per rivalutare questi luoghi.

 

“Da un punto di vista tangibile è visibile l’abbandono fin dalla mia nascita. Anche dai racconti delle persone è evidente come è cambiato il territorio. Quando ero piccolo c’erano più campi coltivati, proprio perché c’erano più persone che vivevano a Montefortino, lavorando come agricoltori, allevatori o facendo doppi lavori. Ci sono poi tante attività e negozi che hanno chiuso negli ultimi anni”, ha raccontato De Santis.

 

“Le scuole, poi hanno sempre meno persone. Ho frequentato una delle classi più popolose, ed eravamo appena in dodici. Ora ci sono al massimo quattro studenti per classe”, ha continuato De Santis.

Se da un lato a Montefortino si assiste alla disgregazione della comunità, dall’altro è in atto una mutazione territoriale profonda: la perdita di colture autoctone (come, ad esempio, la vite ad alberello) e l’abbandono dei territori montani più alti (ormai destinati al solo turismo).

 

“Attraverso il mio lavoro di fotografo cerco di rendere partecipi più persone possibili dei problemi che esistono nel territorio ma penso che anche solo restare sia importante, vivere un paese che ha bisogno di noi, non solo della presenza ma anche nel ricreare una socialità per rendere tutti partecipi. Bisogna creare una consapevolezza sociale e culturale”.

 

L’ultimo progetto del fotografo si è concluso con la realizzazione di un libro, chiamato "Montefurtì" (il nome del suo paese in dialetto), nel quale ha racchiuso, attraverso le fotografie, documenti di archivio e la voce dei suoi concittadini.

 

“Ho cercato di andare oltre la retorica del “borgo presepe” che tanto oggi si vuole raccontare per parlare di un paese fatto anche di bruttezze e di una comunità che si sta lentamente disgregando”, ha evidenziato De Santis.

“Tra le iniziative che ritengo più urgenti per il mio paese c’è ricreare un senso di socialità. Poi è indicativo che io, per poter frequentare una scuola superiore, mi sia dovuto spostare in un’altra città. Mancano i servizi e la viabilità è molto complicata per chi fa il pendolare per lavoro. Mi rendo conto che non ci sono iniziative e stimoli culturali”, ha affermato il fotografo, ricordando che oltre lui, non conosce altre persone che siano tornate a Montefortino.

 

Provo a convincere i miei amici ma è una battaglia contro i mulini a vento, mi rendo conto che non sia facile. Argomento dicendo che qui c’è l’aria pulita, ma la qualità della vita è fatta anche di tanti altri aspetti, come non dover fare un’ora di auto per raggiungere un ospedale o avere le scuole vicine. Vivere qui comporta tanti sacrifici”, ha concluso De Santis.

 

Foto credits: Michele De Santis

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