In Italia il dato più alto al mondo di medici, ma allora perché mancano? Ioppi: ''Imbuto formativo e il sistema pubblico si è auto-precluso la possibilità di assumere giovani''
In Italia ci sono circa 6 medici ogni mille abitanti, il più alto del mondo e un patrimonio straordinario che però non riesce a trovare sbocchi. A questo numero non corrisponde, purtroppo, un buono stato di salute del sistema sanitario. "Un paradosso di una gestione e pianificazione passata approssimativa. Un documento del 1999 metteva in guardia che nel giro di 20 anni ci si sarebbe ritrovati in questa situazione"
TRENTO. "I medici ci sono ma sono bloccati. I requisiti richiesti sono esclusivi per lavorare nel comparto pubblico e così ci troviamo nel paradosso di non avere professionisti quando in realtà ci sarebbero", queste le parole di Marco Ioppi, presidente dell'Ordine dei medici, nel commentare i dati di Adiconsum: in Italia ci sono circa 6 medici ogni mille abitanti, il più alto del mondo e un patrimonio straordinario che però non riesce a trovare sbocchi.
A questo numero non corrisponde, purtroppo, un buono stato di salute del sistema sanitario. "Il pubblico - prosegue il numero uno dei medici - si è ingessato da solo per tagliarsi le possibilità di assumere i giovani. E c'è un imbuto formativo importante che non permette quel ricambio generazionale ormai necessario. Un paradosso di una gestione e pianificazione passata approssimativa. Un documento del 1999 elaborato dall'Ordine dei medici metteva in guardia che nel giro di 20 anni ci si sarebbe ritrovati in questa situazione. Nulla è stato fatto ma il tempo è passato e ora il settore inizia a essere in emergenza".
Il lavoro nel pubblico si delinea lungo due direttrici, il professionista che viene assunto negli ospedali e quelli di medicina generale. Nel primo caso il requisito è la specializzazione: dopo il corso di laurea ci vogliono altri 4/5 anni di specializzazione rilasciata dall'Università. Nel secondo caso, terminato il percorso universitario si prevede il diploma di formazione in medicina generale da scuole specifiche gestite dalle Regioni e dalle Province autonome.
Ogni anno si laureano in media 12 mila medici, solo 9 mila riescono a entrare in specialità oppure in corso di formazione per medicina generale. "I numeri di posti disponibili messi a concorso - prosegue Ioppi - sono decisamente inferiori alla domanda. Qui in Trentino la Provincia affida il corso per diventare medici generali all'Ordine dei medici e infatti l'amministrazione ha deciso di alzare il tetto delle iscrizioni e noi siamo stati d'accordo, ma ovviamente non può bastare. E' necessario un piano generale a livello nazionale".
Il sistema non riesce a far fronte alle esigenze: oggi il numero di medici prossimi alla pensione è sempre più elevato. Le generazioni degli anni '70/'80 escono dal mercato del lavoro ma non ci sono abbastanza medici per rimpinguare gli organici tra imbuto formativo e requisiti troppo stringenti. "I giovani medici bloccati nell'imbuto formativo aumentano di anno in anno. Quest'anno - dice il presidente dell'Ordine - in oltre 17 mila hanno partecipato al test di ammissione alle scuole di specializzazione e solo poco più della metà, cioè meno di 9 mila, sono stati ammessi. Questo comporta un elevato numero di disoccupati, privi dei requisiti per essere occupati nel sistema sanitario nazionale, ma pronti a essere disponibili per lavorare nel privato. A questo si aggiunge che oltre mille professionisti ogni anno emigrano all'no all'estero tra Inghilterra, Germania e Svizzera, medici che poi non rientrano in Italia".
E poi c'è, infatti, un altro fronte, quello dei privati. "I criteri lì sono più elastici - continua Ioppi - il medico nel pubblico spesso lavora senza riflettori, senza dimenticare la difficoltà a gratificare il personale per merito e potenzialità. A questo si possono aggiungere ulteriori criticità quali elevata conflittualità, turni massacranti e organici non adeguatamente integrati. Poi c'è anche la burocrazia che il distoglie il medico dall'attività clinica".
Un altro dato è quello del ricorso alla medicina difensiva. Un costo di 165 euro a testa per un totale di spesa sanitaria di 1.147 euro a persona. Una pratica attuata dal 93% dei medici intervistati nella ricerca commissionata da Il Sole 24ore nel 2017: la perdita per la spesa sanitaria si attesta intorno al 10%.
A questo dato, si deve aggiungere il costo delle liti medico-paziente sempre più frequenti. Nel solo 2018, per spese legali e sentenze sfavorevoli, le liti sono costate al servizio sanitario nazionale oltre 190 milioni di euro, circa 522 mila euro al giorno, con un incremento dell’8,9% rispetto all’anno precedente (fonte Demoskopika).
"E' un punto percentuale di Pil - evidenzia Ioppi - spesso le denunce sono quasi sempre strumentali, tanto che il 95% di queste vengono archiviate. La medicina difensiva è una conseguenza di questa litigiosità e dell'uso strumentale delle denunce come se il medico fosse un bancomat dal quale poter prelevare in quanto è assicurato. Ma questo crea tensione, distrugge medici e famiglie. Insinuare il dubbio di negligenza, imperizia o errore è una fonte di stress enorme per il medico e il paziente rischia di pagarne le conseguenze. In questo senso nel 2017 è stata approvata la legge Gelli: il paziente deve eventualmente provare l'accusa".
Un passo può essere l'Università di medicina a Trento. "Un percorso da intraprendere. Siamo - conclude Ioppi - tra le ultime regioni senza una facoltà: ci sono due dipartimenti in Friuli per un bacino di 1 milione e 200 mila abitanti, quattro in Emilia Romagna, poi ovviamente ci sono Verona e Padova. Ma non basta aprire una sede universitaria, serve un coinvolgimento di partner a livello europeo e nazionale. L'Università non è sufficiente da sola se non si attua una nuova gestione del personale capace di valorizzare le risorse umane, i medici in attività che non vadano via prima del tempo e dare una prospettiva di futuro e di crescita ai giovani assunti".