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Cento giovani in giacca e cravatta che, trovata l'entitativity, hanno dimostrato che "Si può fare" anche in Europa

La tre giorni di simulazioni del Parlamento Europeo tenutasi a Sociologia è stata una successo. Gli universitari hanno trovato un compromesso sia sul tema delle frontiere che su quello del bilanciamento di genere. L'articolo scritto per il Dolomiti da una studentessa "giornalista parlamentare"

Le ragazze che nella simulazione hanno ricoperto il ruolo di giornaliste parlamentari
Di Giorgia Folgheraiter - 15 novembre 2016 - 12:55

TRENTO. "Ciao cara, vieni a prendere qualcosa al buffet?". Nella testa rispondevo "Con piacere", ma in fondo mi chiedevo se la domanda della collega fosse reale o fittizia. Siamo nell'ambito della simulazione del parlamento europeo svoltasi a Trento, a Sociologia, durante il weekend appena trascorso. Cento giovani eleganti in giacca e cravatta o in tailleur hanno preso le parti di ministri, europarlamentari e giornalisti. Tre giornate in cui potevi esprimere le tue idee nel rispetto del partito o della nazione che rappresentavi, 3 giornate in cui potevi essere te stesso nelle vesti di qualcun altro, potevi conoscere altre persone e metterti in gioco. Potevi decidere che parte volevi giocare.

 

Si sono instaurati rapporti nuovi, si sono rafforzate le nostre identità di cittadini europei, si sono allenate le nostre capacità oratorie, si sono create dinamiche di gruppo che riflettono chi siamo davvero oltre la simulazione, che riflettono chi vogliamo essere e quali idee vogliamo portare avanti. Siamo giunti, a fine dibattito, ad approvare le proposte su Eurosur (il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere) e su Gender Balance (bilanciamento di genere) ascoltando e trovando un punto d'incontro per tutti. Abbiamo imparato a vivere l'Europa e le sue istituzioni, capendone i limiti e le possibilità. Dai dati di Rapporto Giovani del 2014 emerge che il grado di fiducia dei giovani italiani per le istituzioni europee continua a calare con una media del 3,8 su 10 in confronto al 4,7 della rilevazione precedente. Non si crede più nelle istituzioni, nemmeno in quelle europee.

 

Con la nostra simulazione abbiamo invece dimostrato che questi 100 giovani (quasi tutti studenti universitari di Giurisprudenza e Sociologia) vestiti di tutto punto sono disposti a mettersi in gioco per un'Europa migliore, sono disposti a credere nelle istituzioni e modificare ciò che non va per dimostrare che trovare un accordo è possibile. Abbiamo dimostrato che l'Unione Europea può essere davvero unita. Come è stato possibile? Grazie all'entitativity. L'entitativity è la percezione che un aggregato abbia natura di entità fornita da una sorta di confine. In sociologia si distingue come aggregato un insieme di individui che si trovano nello stesso luogo e allo stesso momento, senza condividere un legame preciso al di fuori di quel contesto. Bisogna pensare che in una simulazione si raggruppano questi giovani entusiasti e gli si assegna un ruolo in un gruppo quale, ad esempio, il Consiglio Europeo.

 

Le persone in un gruppo sentono un certo livello di unità (entitativity) grazie a diversi fattori tra cui la somiglianza tra gli elementi dell'insieme, l'organizzazione reciproca, l'interdipendenza e le aspettative di comportamenti congruenti. Si può dire che una simulazione del processo decisionale europeo crea un gruppo ad alta entitativity: i partecipanti sono stati selezionati a seguito di lettere motivazionali, gli interessi dei partecipanti sono condivisi e i ruoli sono prestabiliti. Entrare in questo gruppo, entrare a far parte della simulazione ha avuto su ognuno di noi implicazioni anche a livello dell'autostima. E' normale che un determinato valore associato al gruppo si rifletta anche sul concetto che abbiamo di noi stessi. Se interiorizziamo le nostre appartenenze ai gruppi come parte del nostro concetto di sé, il successo o il fallimento di un gruppo tendono ad alzare o abbassare i livelli di autostima e autovalutazione personale.

 

L'obiettivo comune di tutti noi giovani era semplice: trovare una soluzione alle due proposte in queste due giornate di dibattiti. Le aspettative andavano in quella direzione e ognuno nella propria testa era volto fin dall'inizio a cercare un compromesso per arrivare ad una conclusione condivisa. Infine bisogna pensare che il "nuovo" concetto di sé che si crea porta le persone a sentirsi parte del gruppo, e rende i processi psicologici di ordine diversi da quelli individuali. Quando dico "sentirsi parte del gruppo" intendo una specie di processo di deindividualizzazione dei singoli individui, non nel senso di anonimato o perdita dell'identità, ma piuttosto un' acquisizione di una nuova identità (dall'identità personale all'identità sociale).

 

Nuova identità con cui il comportamento risulta quindi più influenzato dall'appartenenza al gruppo piuttosto che da fattori personali, risulta più teso a trovare punti di accordo, risulta più disposto ad ascoltare l'altro. Sembra così semplice e lineare e noi lo abbiamo provato in prima persona. Abbiamo imparato a discutere insieme durante i dibattiti e abbiamo imparato, in alcuni casi, a mettere da parte l'opinione personale iniziale per giungere ad un compromesso che fosse più in linea con il gruppo, che rispecchiasse l'identità sociale che l'Ue ha creato in noi giovani in questi giorni

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