Proteina spia per i tumori del fegato individuata dai ricercatori dell'Università di Trento: “Mutazione di un gene collegata allo sviluppo di neoplasie gravi”
Uno studio dell'Università di Trento, sostenuto da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, ha dimostrato come la mutazione di uno specifico gene sia collegata allo sviluppo di neoplasie gravi: i risultati sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista “Sciences Advances”
TRENTO. Una proteina 'spia' per i tumori del fegato, uno dei più diffusi e con il più alto tasso di mortalità: uno studio dell'Università di Trento, sostenuto da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, ha dimostrato come la mutazione di uno specifico gene sia collegata allo sviluppo di neoplasie gravi. A riportare i risultati, pubblicati in un articolo sulla rivista “Sciences Advances”, è lo stesso ateneo trentino, i cui ricercatori (Alessandro D'Ambrosio, Davide Bressan ed Elisa Ferracci) hanno lavorato con l'Istituto europeo di Oncologia di Milano e con l'Apss.
“Ogni anno – dice l'Università – il tumore al fegato colpisce circa 90mila persone in Europa, 13mila in Italia. È una neoplasia tendenzialmente silente e per questo la diagnosi è spesso tardiva, fattore che contribuisce a limitare drasticamente le possibilità di cura. L'approccio chirurgico e il trapianto (quest'ultimo possibile solo in pazienti con lesioni precoci non metastatiche), rimangono le strade che garantiscono la maggiore aspettativa di vita. Gli stessi risultati non possono attualmente essere raggiunti con il solo approccio farmacologico”.
Proprio per questo la ricerca rimane quindi una risorsa fondamentale per migliorare l'aspettativa di vita e le possibilità di guarigione del tumore del fegato: il gruppo guidato da Fulvio Chiacchiera, professore di Biologia applicata al dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata dell'Università di Trento, ha identificato alcuni meccanismi alla base dello sviluppo dei tumori epatici, a seguito di mutazioni del gene ARID1A. Mutazioni che si riscontrato in una percentuale consistente di questo tipo di tumori.
“I dati a nostra disposizione – spiega Chiacchiera – dimostrano l'importanza della proteina codificata dal gene ARID1A nel salvaguardare l’integrità del genoma. Quando questo gene subisce una mutazione che determina la perdita della funzione della proteina, aumentano i danni a carico del DNA. Questo accresce la frequenza con cui altre mutazioni potenzialmente pericolose possono essere acquisite e si accompagna a un aumento dell’infiammazione, tutti fattori che promuovono lo sviluppo dei tumori”.
Le neoplasie epatiche, dicono gli esperti, sono caratterizzate da un ampio spettro di mutazioni, una tra le più comuni riguarda il gene CTNNB1: il gruppo guidato dal professor Chiacchiera ha dimostrato che le mutazioni di CTNNB1 associate a quelle del gene ARID1A portano allo sviluppo di tumori epatici particolarmente aggressivi, in grado di dare metastasi nei polmoni. Se i dati ottenuti saranno confermati in ampi studi clinici, la presenza di mutazioni nel gene ARID1A individuate prima dello sviluppo del tumore potrebbe fornire indicazioni preziose ai medici sulla necessità di sottoporre il paziente a esami e controlli più assidui e approfonditi.
Le prospettive che questa ricerca ha aperto sono quindi tante: “Al momento – conclude Chiacchiera – ci stiamo concentrando sul processo di metastatizzazione, in collaborazione con l'unità operativa di anatomia patologia dell'Ospedale Santa Chiara di Trento diretta da Mattia Barbareschi, docente al Centro interdipartimentale di Scienze mediche dell'Università di Trento e con l'unità operativa chirurgia generale 2 diretta da Alberto Brolese. A stadi molto precoci le lesioni metastatiche non sono individuabili facilmente. Anche per questo il nostro obiettivo è capire come riuscire a predire il potenziale metastatico di un tumore anche in assenza di chiare evidenze cliniche. Inoltre, stiamo lavorando alla comprensione dei meccanismi molecolari coinvolti nel processo di metastatizzazione, con la speranza un giorno di individuare nuovi bersagli per terapie farmacologiche più efficaci”.