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“Durante la cattura gli orsi provano paura”, la prova dai feromoni: una ricerca innovativa per comprendere il “linguaggio segreto” dei plantigradi

Una ricerca, la prima di questo tipo a livello internazionale, prova a svelare i segreti del “linguaggio” degli orsi. Il veterinario trentino Roberto Guadagnini: “Se le persone tramite lo sguardo capiscono quando hanno di fronte un uomo piuttosto che una donna, se è giovane o vecchio, i plantigradi fanno affidamento sui feromoni per raccogliere le stesse informazioni ma potrebbero riuscire persino a riconoscere come unico ogni singolo esemplare”

Di Tiziano Grottolo - 05 marzo 2023 - 05:01

TRENTO. Una sorta di impronta digitale, quasi intangibile, che rende unico ogni esemplare ma che serve pure per comunicare: semplificando, si potrebbe spiegare così il funzionamento dei feromoni. Nel concreto si tratta di sostanze prodotte da particolari ghiandole (esocrine) che vengono utilizzate per mandare segnali verso altri esemplari (marcare il territorio, indicare la presenza di cibo o un richiamo riproduttivo) ma possono persino indurre modifiche al comportamento e addirittura alla morfologia di certe specie.

 

Questa materia però, soprattutto nei mammiferi, è ancora poco studiata. Proprio per questo la ricerca condotta su alcuni orsi trentini rappresenta un unicum non solo in Italia ma anche a livello internazionale. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Animals” ed è stato curato, fra gli altri, da Roberto Guadagnini capo veterinario della Provincia che segue i grandi carnivori del Trentino, Andrea Mazzatenta biologo dell’Università di Chieti e Alberto Valentini, Federica Bonadiman, Sofia Guadagnini della clinica Zoolife di Mezzolombardo (la stessa di Guadagnini). Di fatto è stata la prima volta che qualcuno ha provato a mappare i feromoni dei plantigradi ottenendo dei risultati sorprendenti.

 

“Gli orsi – spiega Guadagnini – sono animali tendenzialmente solitari per questo era scontato che producessero dei feromoni (percepiti attraverso specifici organi) per comunicare fra loro. Per prima cosa dunque ci siamo chiesti quali e quanti fossero i feromoni utilizzati dai plantigradi”. Se fare delle ipotesi su dove trovare i feromoni è stato facile la parte difficile è arrivata nel momento in cui è stato necessario raccoglierli e conservarli per poi poterli analizzare. Si tratta infatti di sostanze estremamente volatili che si disperdono con facilità.

 

Come già anticipato lo studio è stato condotto su alcuni orsi trentini. I campionamenti dei feromoni sono avvenuti durante le fasi di cattura già prestabilite, per esempio quando si è reso necessario sostituire il radiocollare ad alcuni esemplari monitorati dalla forestale. “Abbiamo raccolto molecole riconducibili a oltre una trentina di feromoni diversi – prosegue il veterinario trentino – compreso quello della paura. Quello che abbiamo scoperto è che alcuni feromoni sono uguali in tutti gli esemplari ma altri sono unici, riconducibili a un singolo soggetto”.

 

Tramite queste sostanze gli orsi possono conoscere una serie di informazioni su gli altri esemplari, come il sesso, l’età e lo stato di salute. “Se le persone tramite lo sguardo capiscono quando hanno di fronte un uomo piuttosto che una donna, se è giovane o vecchio, i plantigradi fanno affidamento sui feromoni per raccogliere le stesse informazioni”. In altre parole si può parlare di una sorta di carta d’identità chimica ma l’ipotesi avanzata dagli studiosi è che ogni esemplare secerna dei feromoni unici che lo identificano in maniera univoca. “Questo è solo un primo passo – sottolinea Guadagnini – di molti feromoni non sappiamo ancora con certezza a cosa servano ma la ricerca apre nuovi scenari e tante possibili applicazioni”.

 

In futuro queste sostanze potrebbero essere utilizzate per attrarre degli esemplari in particolare, con i feromoni di una femmina in calore si richiamano i maschi mentre i feromoni di un maschio adulto potrebbero tenere a distanza altri soggetti, magari allontanandoli da un allevamento. Questa non è fantascienza, in agricoltura trappole che sfruttano l’azione dei feromoni vengono già utilizzate con successo per mitigare l’impatto degli insetti nocivi sulle coltivazioni. “È vero – conclude il veterinario trentino – queste sono ancora soltanto delle teorie ma la nostra ricerca ha sicuramente il pregio di ampliare lo sguardo su campi finora inesplorati”.

 

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