La Peste suina africana preoccupa il Trentino, Dallapiccola: “Tanti dubbi, perché limitarsi alla ricerca sugli esemplari rinvenuti già morti?”
Anche per aumentare i controlli contro la diffusione della Peste suina africana la Pat ha dato il via libera all’utilizzo di visori notturni e pasture per la caccia ai cinghiali, salvo poi non effettuare accertamenti sugli esemplari abbattuti. Michele Dallapiccola: “Sulla delibera restano ancora molti punti di domanda”

TRENTO. A novembre 2020 alcuni focolai della cosiddetta Peste suina africana (Psa) al confine fra Germania e Polonia hanno allarmato gli altri Paesi europei che combattono questa piaga. Questo tipo di malattia infatti, colpisce sia i maiali da allevamento che i cinghiali portandoli, nella maggior parte dei casi, alla morte entro 10 giorni. Della questione se ne occupa da tempo anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) che avverte: “Attualmente non esistono né un vaccino né una cura, per queste ragioni un focolaio può causare gravi danni e perdite economiche importanti”. Il pericolo dunque esiste, anche se in Italia, almeno per il momento, è presente ma solo in Sardegna.
Sulla scia di questi eventi l’assessora all’agricoltura, caccia e pesca, la leghista Giulia Zanotelli, ha recentemente fatto approvare una delibera dove si sottolinea come “l’aumentato rischio di ingresso della Peste suina africana richiede l’introduzione di nuove modifiche per rendere più incisiva l’azione del controllo”. Ma quali sono state le misure adottate per fronteggiare la proliferazione della Psa? Oltre alla sorveglianza passiva su cinghiali e maiali di allevamento si è pensato di dotare i cacciatori di nuovi strumenti (e regole) per agevolare gli abbattimenti, fra cui consentire l’utilizzo dei visori notturni e la creazione di mangiatoie per attirare i suidi in trappola (QUI approfondimento). Una scelta che ha sollevato non poche perplessità.
Sulla delibera, adottata anche in virtù del pericolo rappresentato dalla proliferazione della Peste Suina, è intervenuto anche il consigliere del Patt Michele Dallapiccola che ha depositato un’interrogazione per provare a far luce su alcuni nodi del provvedimento. “Trovo molto strano – spiegava il consigliere autonomista – che nella delibera non sia prevista nessuna attività di indagine, se non per i cinghiali che siano morti in circostanze poco chiare. Da un punto di vista medico sarebbe molto importante effettuare un monitoraggio analitico almeno a campione se ritenuta eccessivamente onerosa la ricerca a tappeto. D’altra parte come possiamo conoscere e capire se non cerchiamo?”. Il virus della Peste suina infatti, sopravvive nelle carcasse ma può essere trasmesso anche dal contatto con altri animali o cibi contaminati. Persino l’uomo (benché non suscettibile) può contribuire a diffonderla attraverso vestiti o attrezzature contaminate.
“Nel 2014 – ribadisce Zanotelli – è esplosa in Europa un’epidemia della malattia, sia nei suini domestici sia nei cinghiali, che ha interessato progressivamente diversi Paesi tra cui Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Ungheria, Bulgaria, Slovacchia, Grecia e, da ultimi, Belgio e Germania. La corrente situazione epidemiologica rappresenta pertanto motivo di forte preoccupazione per tutto il territorio nazionale”. Da qui la volontà di “rende più incisiva l’azione del controllo con l’obiettivo di abbassare la densità della specie in tempo di pace, perseguendo in tal modo anche la finalità di riduzione del rischio di introduzione e diffusione della Psa”.
Tornando alla questione sollevata dal consigliere delle Stelle Alpine, l’assessora replica: “La letteratura scientifica indica, nei Paesi a rischio di introduzione Psa, che la sorveglianza passiva (ricerca virologica su cinghiali rinvenuti morti, con sintomi sospetti, morti o abbattuti a seguito di incidente) è di gran lunga più efficace della sorveglianza attiva (ricerca virologica su cinghiali abbattuti nell’ambito dell’attività di caccia o di controllo), garantendo un miglior rapporto costo/beneficio”.
Dallapiccola comunque resta perplesso: “Noto con piacere che, caso raro, la risposta alla mia interrogazione sia arrivata molto velocemente ma attorno alla delibera restano ancora molti punti di domanda. Da quanto risulta il provvedimento sarebbe nato proprio per iniziativa dell’assessora ma non si capisce perché si sia deciso si attivarsi con una serie di azioni così importanti, riconducendone la necessità alla ricerca della Peste suina, ma limitando la ricerca ai soggetti rinvenuti già morti. Quindi adoperandosi per il recupero delle carcasse di cinghiale – di per sé un fatto utile chiarisce il consigliere – ma senza analizzare, almeno a campione, anche gli esemplari abbattuti dai cacciatori”. In altre parole il Trentino ha scelto di adottare una soluzione originale per monitorare la presenza della peste suina: da un lato aumentare gli abbattimenti ma senza poi controllare gli esemplari effettivamente cacciati.