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Lupi, per la Cia "situazione fuori controllo" a Belluno (ma mancano i dati reali, anche nelle predazioni): "In Veneto poca attenzione a monitoraggio e prevenzione"

Per la Cia di Belluno è necessario un intervento rapido per il monitoraggio dei lupi nella Provincia "in modo da non farci trovare impreparati allorché il declassamento della specie sarà ufficiale". Sulla necessità di dati completi e aggiornati, che nel Bellunese non ci sono mai stati, c'è accordo da parte anche dell'associazione Io non ho paura del lupo: ecco le loro posizioni

Di Sandy Fiabane - 12 marzo 2025 - 15:49

BELLUNO. Un intervento rapido per il monitoraggio dei lupi nella Provincia “in modo da non farci trovare impreparati allorché il declassamento della specie sarà ufficiale”: è la richiesta della Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) di Belluno alla Regione Veneto in vista della stagione dell’alpeggio. Sulla necessità di dati completi e aggiornati, che nel Bellunese non ci sono mai stati, c’è accordo anche da parte dell’associazione Io non ho paura del lupo, che però sottolinea prima di tutto la necessità di agire sul fronte della prevenzione. Abbiamo quindi ascoltato le due posizioni, attraverso la voce di Rio Levis, presidente della Cia Belluno, e Francesco Romito, vicepresidente di Io non ho paura del lupo.

 

Il declassamento della specie (non ancora definitivo) non significa che il lupo non sarà più protetto

 

Pochi giorni fa è entrata in vigore la modifica della Convenzione di Berna che prevede a livello europeo il declassamento del lupo da “specie di fauna strettamente protetta” a “specie di fauna protetta”. Declassamento accolto con favore dalla Cia, nel cui comunicato si legge: “Sulla carta è stato raggiunto un ottimo risultato, tuttavia ora serve passare dalle parole ai fatti. Oltre alla redazione di una road map a cura della Regione, chiediamo l’estensione di un cronoprogramma ad hoc. Ne va della salvaguardia del settore primario della nostra Provincia”.

 

“La nostra richiesta - afferma a il Dolomiti Levis - è legata al declassamento dello status del lupo: questo passaggio permetterà di poter intervenire con la Regione per ridurre il numero di lupi e le predazioni nel Bellunese, facendo sì che le nostre aziende possano lavorare in modo diverso. Attendiamo quindi che si possa dare al più presto un’impronta di cambiamento a un problema per noi fuori controllo”.

 

“C’è un grande fraintendimento rispetto al senso di questo declassamento - spiega a il Dolomiti Romito - perché non significa che il lupo diventerà una specie non protetta: i paletti del buono stato di conservazione della specie e dell’utilizzo dei mezzi di prevenzione rimarranno validi ed è importante che questo sia chiaro. Probabilmente si potrà ricorrere con più facilità alle deroghe, ma il lupo rimarrà una specie protetta. Inoltre il declassamento è un processo lungo, che coinvolgerà anche i Paesi europei e la cui adozione nella direttiva Habitat non è scontata, tanto più che è in atto un approfondimento da parte della Corte di Giustizia Europea sui criteri che hanno portato a questa decisione”.

 

La Cia chiede abbattimenti mirati contro le predazioni, ma mancano dati ufficiali e prevenzione efficace

 

“Credo sia giusto - prosegue Levis - parlare di una selezione mirata e ordinata della specie, che segua però un corretto censimento. Non possiamo dire di sapere esattamente qual è il numero dei soggetti nel Bellunese, tuttavia le testimonianze che arrivano dalle aziende locali ci dicono che i dati reali superano abbondantemente quelli forniti dalla Provincia.

 

I censimenti fatti a macchia di leopardo, senza la giusta meticolosità, sono un segnale di un disinteresse nel gestire il problema. Nel Bellunese il problema è radicato, con un aumento delle predazioni e lo spostamento degli esemplari su tutta la Provincia, quindi secondo noi il declassamento va accompagnato a censimenti rapidi e precisi, che permettano poi di operare nel modo più tempestivo possibile. Ma serve un passo avanti in primis della Regione, che non deve più sottovalutare il problema come ha fatto in passato”.

 

“Posso essere d’accordo sull’invito al monitoraggio - aggiunge Romito - perché, nonostante i dati forniti dai maggiori professionisti italiani ci siano, bisogna comunque lavorare meglio su questo fronte perché i monitoraggi invecchiano presto. Sarebbe però auspicabile approfondire anche l’uso dei mezzi di prevenzione in provincia di Belluno: quali aziende li utilizzano e se, nei casi di predazione, erano stati correttamente applicati. I dati della Provincia autonoma di Trento, ad esempio, ci dicono che qui, in oltre l’80% delle predazioni, non c’era alcuna prevenzione. Ed è utile che queste valutazioni siano fatte dai professionisti, che la Regione Veneto dovrebbe mettere a disposizione perché questo territorio soffre da sempre di una mancanza importante di dati”.

 

“Su questo ci sono delle mancanze - ammette anche Levis. - La Regione si è sicuramente data da fare con le aziende su formazione e prevenzione, ma tutto quello che ha portato avanti finora si è dimostrato decisamente inefficace nelle nostre zone. Con le apposite recinzioni, i cani da guardiania e gli strumenti di dissuasione non siamo riusciti a limitare i danni perché il lupo è riuscito a superarli e, inoltre, su un territorio prevalentemente montano è difficile operare. Abbiamo malghe con grandi estensioni di terreno nelle quali non è facile delimitare gli animali entro i recinti, ma anche nei piccoli paesi, dove i nuclei di animali sono ridotti e facilmente gestibili con queste misure, si è capito che non funzionano.

 

Siamo disponibili a collaborare, ma ribadisco che i metodi indicati dalla Regione non sono validi, tanto che nel 2024 è stato l’Alpago ad aver avuto il maggior numero di predazioni in Italia (su quelle censite), e posso garantire che erano state prese tutte le precauzioni possibili. Riteniamo ormai impossibile gestire il problema senza un piano di contenimento, che non vuol dire eradicare la specie quanto piuttosto ripristinare un equilibrio sul territorio”.

 

“Bisogna abbandonare le posizioni ideologiche di contrapposizione - conclude Romito - e lavorare uniti anche nel rispetto della specie, che deve essere protetta. E farlo significa agire prima di tutto sui molti elementi che consentirebbero di abbassare il conflitto, a partire dalla cultura e dalla diffusa narrazione allarmistica che incentiva il bracconaggio: non possiamo gestire una specie senza sapere quanti esemplari vengono uccisi illegalmente, anche se sappiamo che si tratta di un numero molto alto”.

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